«Dimmi di te», il nuovo romanzo di Chiara Gamberale

di Giovanni Petta

Non c’è mai niente che possa essere previsto per l’uscita di un nuovo lavoro di Chiara Gamberale. Niente può essere immaginato se non la continuazione di quel filo d’amore che collega la scrittrice alla vita e alla scrittura. La vita che si tiene in piedi appoggiandosi alla scrittura. La scrittura che succhia alla vita l’energia necessaria per la sua sussistenza. Nient’altro.

Certo che c’è la storia! In nessun libro di Chiara Gamberale manca la tecnica e lo stile, la trama e la creatività; in tutti i suoi lavori, l’invenzione è struttura e fondamento ma, invece di essere iperrealista o completamente fantasy, esiste per concedere alla realtà di migliorare se stessa, di avvicinarsi, cioè, ancora di più alla verità.

Tra i fili degli eventi, tra i quadri e gli episodi che sorreggono la storia di questo libro, tuttavia, c’è un materiale umano, un “capitale umano”, che, nel suo dispiegarsi nel tempo, squadra senza imprigionare, definisce senza essere definitivo, approfondisce senza pretendere il possesso della verità assoluta.

È quell’amore curioso e contagioso per la vita che da sempre Chiara Gamberale ha mostrato di possedere. La capacità di comprendere e approcciare la bellezza, di avvicinarla, di non fuggire davanti al dolore, di riconoscerlo senza maledirlo.

«Dimmi di te» (Einaudi, Stile libero big) è un altro capitolo di quella ricerca tenuta in piedi da decenni dall’autrice. Comprendere per vivere meglio, non solo per comprendere e basta. La complessità dell’esistenza umana – il garbuglio delle tante esistenze in atto – non può essere spiegata con un semplice elenco di risposte filosofiche, psicologiche e scientifiche o metafisiche che siano. Ogni vita ha le sue cause e i suoi effetti. E ogni tempo di una stessa vita ha le sue profondità e le sue leggerezze, errori e confessioni, rammarico e perdono. Dimenticanze inconsapevoli o volontarie. «Ho imparato che nessuna vita può considerarsi sbagliata rispetto a un’altra. L’unico discrimine è la sua autenticità».

Spaesata, senza centro, la protagonista di «Dimmi di te», Chiara, incontra per caso un vecchio compagno di un corso di teatro. Un ragazzo che aveva mitizzato e che ritrova appagato come marito e genitore. E gli altri? E le altre “stelle polari” dell’adolescenza? Che fine avranno fatto? Hanno realizzato i loro sogni o li hanno trasformati in altro? Li hanno negati ed eliminati o li hanno portati a compimento?

Chiara si impegna a cercarli. Ma non sui social. Li incontra fisicamente. L’amore mancato del liceo, la ragazza bella e irraggiungibile, il rappresentante d’istituto, gli integralisti cattolici invidiati per le loro famiglie, la compagna del viaggio di studio all’estero, l’amica del cuore.

Dialoghi e flashback, sequenze descrittive e narrative intensissime… Chiara Gamberale utilizza al massimo livello gli strumenti della narrazione e non certo per mania di virtuosismo. Tutto è finalizzato ad indagare la vita, la felicità, i rapporti interpersonali. Sbobinare la densità che si ingarbuglia tra genitore e figlio, tra compagna e compagno, tra se stessi e la propria solitudine.

E il confronto con le “stelle polari” dell’adolescenza permette di capire che non si è ancora capaci di riconoscere la differenza tra amare e perdere la testa. Così, le domande sui rapporti di coppia diventano numerose. L’osservazione di sé diventa conseguente. « Come fate ad avere ancora voglia di un corpo che vi siete abituati a vedere nudo, magari seduto sul water, come fate a non perdere il rispetto della persona che abita quel corpo, annullate tutte e la distanze, come fate a sopportare la vita sempre uguale, giorno dopo giorno dopo giorno, la complicità inconscia che deve per forza di cose farsi di superficie?».

Donarsi completamente all’altro/a per amore o, sempre per amore, rimanere se stessi senza alcuna trasformazione? « Ero io che dovevo dartelo o eri tu che dovevi prendertelo, il permesso di rimanere te nonostante noi?»

Alcuni tra gli intervistati sono riusciti a tenere in piedi le loro relazioni. Ma a quale costo? Hanno riempito le vite di impegni e tutto sembra procedere per il meglio. Ma se togliessimo quegli impegni? «… di vuoto certo non ce n’era, tanti erano i cani, i cavalli, i figli, le zampe, i pazienti, i soci, gli allievi di equitazione. Ma se li togli quei cani? Quei cavalli quei figli tutte quelle zappe? Cosa resterebbe? Resterebbe quell’uomo e resterebbe quella donna. Che forse di ritrovarsi da soli, uno davanti all’altra, non hanno nessuna intenzione».

La contemporaneità chiede alla protagonista, poco più che quarantenne, di crescere, di abbandonare finalmente le “quisquilie” a cui è affezionata ora che è diventata madre. « Ma che cosa vuole, mio padre? Che scriva un libro sulle controversie del reddito di cittadinanza? Io? Che cosa avrei di rilevante, da aggiungere?»

E sarebbe davvero un peccato se Chiara, la protagonista della storia, e Chiara Gamberale approdassero alla saggistica. Anche perché solo il quindici per cento dei fenomeni che viviamo può essere spiegato con un sistema di equazioni. Il resto è imprendibile, aereo, immateriale. Ed è il resto che interessa alla nostra autrice. È ciò che non torna nel finale dei nostri conti, ciò che non può essere previsto. Ciò che quando accade, quasi sempre in maniera tragica e irreversibile, provoca rammarico e sensi di colpa. Dolore.

La straordinarietà del lavoro di Chiara Gamberale è l’essenzialità della sua scrittura, una essenzialità di argomento e di stile che diventa eleganza della pagina e rispetto delle cose umane. I suoi personaggi sono tutti abbracciati, amati, coccolati, ascoltati nel dolore che li costituisce: «Dimmi di te»…

E in questo abbracciare gli altri – l’Umanità – non c’è alcuna difesa. Chiara Gamberale scrive ormai senza paura, nuda, senza imbarazzi. Così come bisognerebbe scrivere, sempre, per dare senso compiuto a un lavoro così nobile, necessario per provare a spiegare qualcosa almeno a se stessi: «L’amore è l’unica occasione che abbiamo per capire che di noi non avevamo capito niente».

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