Campobasso, una visione condominiale del borgo antico
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Il tessuto edilizio di questo centro di origine medievale si presta all’applicazione dei modelli distributivi del social housing. Inoltre la pedonalizzazione per così dire naturale di questo centro storico permette di immaginare l’estensione dello spazio abitativo alle superfici esterne in modo che l’organismo urbano di questa parte di città diventi nel suo insieme un complesso di edilizia sociale.
Il centro storico ha le potenzialità per diventare la zona più moderna di Campobasso nel campo dell’offerta abitativa. Occorre, va premesso, uno spirito rivoluzionario da parte dei soggetti pubblici e privati tanto è innovativa la trasformazione richiesta del patrimonio edilizio storico il quale si presta ad ospitare iniziative di social housing. L’edilizia sociale, è una precisazione, ha quali fruitori non solo le persone con reddito basso, mettiamo gli abitanti attuali del cuore antico del capoluogo regionale, ma la generalità dei ceti sociali. Di precisazione in precisazione, si rassicura che simile operazione non vuole favorire la gentrification.
La motivazione principale di quanto si propone oltre che quella di rivitalizzazione dell’abitato antico è quella di garantire soluzioni residenziali diversificate all’interno dell’insediamento urbano. Infatti la domanda alloggiativa si articola oggi in una gamma estremamente variegata di bisogni. La disponibilità attuale di alloggi è, al contrario, assai standardizzata, le tipologie edilizie presenti in città sono abbastanza uniformi. L’utilizzo delle architetture del centro storico può essere utile per avere maggiore diversità nel sistema insediativo. Questo ambito urbanistico, perciò, impiegando uno slogan abusato, può trasformarsi da problema in risorsa essendo potenzialmente capace di fornire un contributo importante all’ampliamento delle opportunità urbane.
Si ritiene che si debba privilegiare, senza escludere, comunque, altri modi di riutilizzo degli immobili del passato, la formula dell’housing sociale per quella tendenza alla socialità che si coglie nella struttura fisica del nostro borgo medievale vista la presenza dei tanti slarghi e piccole corti che costituiscono quasi un’amplificazione delle case che si affacciano su questi vuoti dove si trascende dalla divisione tra pubblico e privato. Ciò consente di riformare il “vicinato” il quale non lo si ritrova nei quartieri di epoca recente. Il s.h. appare adatto alla particolare conformazione dell’aggregato edilizio della cosiddetta città vecchia e nel contempo, in linea con la visione attuale centrata sulla flessibilità della superficie della residenza e diversificazione del taglio degli alloggi.
Nell’insediamento intramurario è raro trovare unità immobiliari a sé stanti, stabili ben definiti, perché le costruzioni sono, in genere, frutto di aggregazione/fusione di volumi, oggetto di sopraelevazione o di parziali ampliamenti e ciò consente di poter immaginare, ad esempio, la predisposizione qui e là di vani comuni a più famiglie per lo svago, per i servizi, ecc. di suddivisioni in unità immobiliari minime soggette a seconda dei bisogni ad accrescimenti e tanto altro ancora. Niente di più distante dal complesso per appartamenti tradizionale. Tale configurazione dell’edificato, in definitiva, si presta all’applicazione degli schemi distributivi del social housing i quali non sono rigidi, non rispondono a tipi architettonici codificati, bensì sono in grado di adattarsi ai più variegati organismi costruttivi.
Finora abbiamo parlato dei “rimedi” per frenare il declino del centro storico, quali sono i passi in avanti da compiere, ora facendo un passo indietro parliamo di alcune cause di questo declino. Iniziamo da una data, il 1806, in cui se Campobasso avanza compiendo non un passo bensì un balzo nella graduatoria “di merito” degli insediamenti urbani molisani poiché diventa capoluogo della neonata Provincia di Molise nello stesso tempo il suo nucleo antico subisce un arretramento. Esso è dovuto allo svuotamento delle funzioni direzionali che troveranno nuova sede nella parte moderna dell’abitato. È da dire, ad ogni modo, che l’apparato pubblico, non essendo ancora la città assurta al rango di capoluogo provinciale, presente all’epoca in cui Campobasso coincideva con il borgo medievale era di dimensioni minime mentre in seguito, specie dopo l’Unità d’Italia, ad essa in quanto “capitale” del Molise vengono assegnati compiti amministrativi rilevanti dalla Prefettura all’Intendenza di Finanza al Genio Civile e così via.
Nell’agglomerato antico non fu possibile reperire immobili, da un lato, di prestigio, dall’altro, di superfici consistenti degni e capaci di ospitare gli uffici conseguenti al ruolo di sede del governo provinciale; ciò perché la designazione di Campobasso come vertice politico della Provincia rappresentò quasi un “invenzione” non essendo una realtà cittadina di grandi tradizioni e, quindi, ricca di residenze signorili di rilievo al suo interno dove allocare le varie amministrazioni post-unitarie. Si dovette cercarne le sedi all’esterno occupando i vecchi conventi, una volta aboliti gli ordini monastici e incamerato l’asse ecclesiastico, che numerosi circondavano l’insediamento abitativo.
Di qui la scarsa rilevanza dell’aggregato storico che spinge gli abitanti originari e i forestieri, ufficiali, magistrati, funzionari che lavoravano nelle strutture amministrative e giudiziarie da poco create, a trovare casa nell’appena nato Borgo Murattiano. Traslocando gli impiegati progressivamente il borgo preesistente si svuota. Ad allontanarsi inizialmente è stato il ceto sociale più abbiente e in seguito anche le classi subalterne per le quali fuggire dal centro storico per trasferirsi in residenze aggiornate nei quartieri di edilizia economica e popolare pur se periferici spesso ha significato fuggire da una situazione di subalternità. Da questo momento, davvero epocale, in poi il problema del centro storico non è stato più sentito solo come un problema di condizioni abitative che pur sussiste per coloro che ancora vivono qui e non sono pochi bensì come una faccenda eminentemente culturale legata al bisogno simbolico di identità cittadina della comunità campobassana. Peraltro Campobasso non si può permettere di essere anonima essendo il capoluogo regionale perché tale anonimato si riverserebbe automaticamente a cascata sull’intera regione avvalorando la diceria che il Molise non esiste o perlomeno che vive in anonimato.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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