Castelli, da strutture difensive a offensive

di Francesco Manfredi-Selvaggi

 

Con l’avvento delle armi da fuoco si ha un profondo rivolgimento del ruolo delle strutture castellane che diventano autentiche macchine da guerra. Esse vengono munite di cannoni che permettono di colpire d’infilata l’esercito nemico non più bersaglio dall’alto degli spalti di pietre e olio bollente, non si guerreggia più così, il lancio di oggetti contundenti è cosa ormai superata (Ph. F. Morgillo-Il castello di Pescolanciano)

Il Molise non è stato, alcun luogo di questa terra, campo di battaglia salvo che in brevi momenti storici quale quello della guerra greco-gotica, riflessi della quale si ebbero a Casalpiano in agro di Morrone del Sannio e c’è, poi, un monte che ha il nome del re dei goti Totila vicino a Isernia, toponimo che, però, potrebbe avere un’altra spiegazione. In precedenza la nostra regione fu interessata dal passaggio dell’esercito di Annibale nel suo spostamento dal Trasimeno a Canne, nel tragitto dovette passare sul ponte detto, appunto, di Annibale sul Biferno vicino a Guardialfiera. Scavalcato subito dopo tocca, siamo nel perimetro comunale di Casacalenda, la città di Gerione. Annibale durante gli “ozi di Capua” si spinse fino a Pietrabbondante per distruggerne il tempio.

Nel XIII secolo Federico II propedeuticamente alla conquista del Regno normanno di Sicilia procedette a sottomettere una delle sue maggiori contee che era quella di Boiano, un passo decisivo. Altrettanto decisiva fu la battaglia di Sessano in cui Alfonso di Aragona sconfisse uno dei principali sostenitori degli Angioini, il Caldora. In età contemporanea l’Alto Molise è stato lo scenario, scenario danneggiato gravemente da questo evento, della ritirata dei Tedeschi inseguiti dagli Alleati. Dalla scarsità degli scontri bellici verificatisi qui da noi ne deriva, evidentemente, la scarsità delle opere di carattere militare vere e proprie nel territorio molisano. È vero che vi sono molti castelli, ma essi sono di stazza ridotta.

Lì dove vi è la minaccia di guerre i castelli hanno una maggiore possanza, con il passaggio da strutture per la difesa a strutture per l’offesa. Un conflitto armato ha la durata per lo più lunga con attacchi e contrattacchi e il castello pure nelle battaglie in campo aperto viene ad assumere un ruolo strategico non solo ai fini difensivi ma pure a quelli offensivi. Esso consente durante le pause dei combattimenti ai soldati di riposarsi al sicuro ricaricando le energie. Dal castello partono le sortite in campo avverso magari utilizzando le “portelle” come il cunicolo che sta nella fortezza di Civita Superiore oppure la “postierla” di Terravecchia di Sepino oppure ancora, ancora non un maniero bensì un centro murato, a Campobasso dove per la sua sezione ridotta, per l’essere il percorso che vi conduce a tratti una specie di galleria coperta e per l’assenza di una torre a fianco, la quale c’è in ogni altro accesso alla città, sono sei, da cui le sei torri dell’emblema cittadino, non è riconosciuta quale autentica porta urbica, una specie di portoncino.

Il castello dunque viene a perdere la caratteristica di un’attrezzatura guerresca di tipo passivo per acquisire i connotati di un presidio attivo; oltre a proteggere chi si trova al suo interno rappresenta una minaccia per i nemici permettendo l’effettuazione di controffensive. Con l’invenzione dell’arma da fuoco non hanno più senso le vecchie strutture castellane per rispondere a offensive nemiche che, peraltro, non essendo il Molise al Confine di Stato, del nuovo Stato che è il Vicereame spagnolo il quale si instaura nel Sud d’Italia nel medesimo periodo dell’avvento/sopravvento dell’artiglieria, non sono ipotizzabili. La nostra regione è improbabile che possa diventare linea di fronte.

In precedenza solo Cola di Monforte aveva predisposto nella sua roccaforte campobassana postazioni per le bombarde ottenute attraverso la “scamozzamento” dei torrioni angolari dello stesso (o più probabilmente realizzando tali torrioni tozzi all’uopo). I colpi di proiettili o di palle di cannone hanno una gittata superiore al lancio di pietre dagli spalti del castello ed effetti ben più devastanti sull’esercito nemico il quale viene ora colpito d’infilata e non più soggetto solo al tiro piombante. I pericoli per la popolazione rimangono i soliti, da quello dell’aggressione da parte del confinante borgo, magari per questioni di confini oggetto della disputa con effetti sanguinosi tra Cantalupo e S. Massimo nel 1492, a quello dell’assalto di bande di briganti, mai di armate vere e proprie.

È da precisare che a controbattere agli attaccanti nei castelli predisposti all’offesa sono dei militari di professione, mentre in quelli che hanno lo scopo solamente di garantire la sicurezza degli abitanti dell’agglomerato insediativo in cui vivono sono i cittadini stessi. Per i primi un caso significativo è il castello di Termoli presidiato da una guarnigione sottoposta non al feudatario protempore bensì al potere imperiale, quello svevo, perché preposto alla protezione della linea di costa che è un interesse nazionale. È curioso, lo si dice per inciso, che Federico II abbia rafforzato la rete delle torrette litoranee per sventare le scorribande dei saraceni e nello stesso tempo abbia ospitato nel castello di Lucera una colonia saracena.

Per quanto riguarda i castelli minori, destinati esclusivamente alla salvaguardia della vita e dei beni di chi risiede in quel comune, si rileva che le mura sono relativamente basse, non c’è la preoccupazione della scalata, non ci si fronteggia con gruppi armati organizzati, piuttosto con banditaglia. Si tratta di predatori che non intendono conquistare alcunché, sottomettere la comunità attaccata stabilmente, bensì esclusivamente rubare e, per quanto possibile, alla svelta. È presumibile che le scorrerie siano state più frequenti nei centri in cui c’è maggiore ricchezza, non nei poveri villaggi di montagna.

Niente schermaglie corpo a corpo, si evitano competizioni in armi vis a vis, faccia a faccia, ci si affida al respingimento dalle mura. Quelle di Fornelli davvero imponenti costituiscono un’ornamentazione dell’abitato in tempo di pace e, in tempo di guerra, un’infrastruttura a servizio dell’incolumità della gente particolarmente efficace. Nel caso eventuale che l’assalitore riesca a scavalcare la cortina muraria è la stessa organizzazione urbanistica a concorrere a facilitare il respingimento degli assaltatori per via delle usuali strade strette e storte che consentono la difesa casa per casa. Un’arma pericolosa in mano agli incursori è il fuoco, appiccare incendi, le travi sono in legno, per indurre le persone a fuggire e lasciare libero il campo con il rischio, comunque, di bruciare anche quanto si vuole prelevare.

Francesco Manfredi Selvaggi642 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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