La valorizzazione delle abitazioni di Cola Monforte, Giacomo Caldora e Roberto di Molise
di Francesco Manfredi-Selvaggi
L’interesse non è legato solo alle loro qualità artistiche ma pure ai personaggi che vi hanno vissuto, agli avvenimenti che vi si sono svolti. Il castello affascina anche per le leggende che lo coinvolgono. Non conta solo l’aspetto fisico ma anche le emozioni che un castello suscita (Ph. F. Morgillo-Una torretta della fortificazione di Civita Superiore)
Nel Molise i lavori di restauro vero e proprio hanno interessato solo i castelli di risonanza superiore e già questo, oltre il limitato numero di interventi effettuati, lascia un pò perplessi. È come se fossimo tornati ai tempi precedenti alla “legge Bottai” che è del 1939 in cui i monumenti si distinguevano in minori e maggiori, non erano “cose di interesse storico” e basta. Oggi il concetto di patrimonio culturale si è esteso notevolmente e continua vieppiù a estendersi includendo nuove categorie di oggetti architettonici, dai mulini agli opifici preindustriali ai lavatoi e così via, aventi tutti la medesima importanza e ciò è valido pure per le strutture castellane, beni culturali tra i beni culturali.
Se c’è una differenza di valore esso, il valore, è quello patrimoniale, dato dalla consistenza volumetrica e dalla stabilità strutturale dell’immobile. Di sicuro, se venissero messi sul mercato, i castelli a rudere avrebbero un prezzo di vendita più basso, al limite quello della nuda proprietà del terreno su cui insistono, di un maniero trasformato in età rinascimentale in un palazzo gentilizio. Non deve aver, di certo, inciso l’estimo catastale nella scelta di acquisizione da parte dello Stato dei castelli di Gambatesa e di Venafro per la restaurazione dei quali sono state spese ingenti somme quanto piuttosto le loro valenze artistiche per i pregevoli affreschi che ne adornano le sale.
Nel primo abbiamo paesaggi ideali, vedute a soggetto mitologico, nel secondo immagini reali, raffigurazioni realistiche di destrieri. Ciò, il fatto che contengono pitture di elevato pregio, giustifica l’interesse prioritario della Soprintendenza verso tali castelli. Il Ministero della Cultura ha avuto quale unico parametro di giudizio nella decisione di incamerarli nel demanio statale l’arte, di nuovo la pittura, e non la storia. Se si fosse optato per quest’ultima si sarebbe dovuto scegliere castelli che hanno dato lustro alla regione per i personaggi che li hanno frequentati. Sicuramente quello di Campobasso quartier generale dei domini di Cola di Monforte, quello di Carpinone perché vi ha dimorato Giacomo Caldora, quello di Termoli che è legato alla figura di Federico II.
Ci sarebbe pure, anzi sarebbe in testa a tutti, il Castello di Civita Superiore che fu la sede dei conti di Molise, fra l’altro il più esteso planimetricamente e, però, del quale rimangono scarsi resti. Nei tre casi citati non si tratta, è evidente, di rilevanza storica prettamente locale, ma di respiro perlomeno regionale anche se, a dire la verità, qui da noi non è così radicato il sentimento regionalistico, l’identità molisana, per così dire, non è così affermato tra le persone il senso di appartenenza a questa terra per cui tali architetture fortificate rappresentano piuttosto che glorie patrie, per patria si intende il Molise, glorie paesane tanto è forte il campanilismo.
I castelli possono essere privati o pubblici, questi ultimi si distinguono in comunali, la stragrande maggioranza, e regionali, solo due, mancano i provinciali. Solamente i castelli di Pescolanciano e di Macchiagodena, davvero prestigiosi, sono stati rilevati dalla Regione di recente, istituzione anch’essa recente. Dell’acquisto da parte di privati di castelli ormai non più feudali poiché il feudalesimo era ormai soppresso, siamo ai primi del XIX secolo, non ne ha tratto un grande vantaggio la comunità alla quale è preclusa la fruizione, così come al tempo dei feudatari, non è cambiato niente, di manufatti di estremo rilievo culturale, vedi il castello di Torella cui si accede esclusivamente in occasione di mostre periodicamente organizzate di opere di Elena Ciamarra, oppure quello di Cerro al Volturno in cui le visite sono consentite per gentile concessione dei possessori e non stabilite in base a convenzioni da stipularsi in ossequio al Codice Urbani oppure ancora quello di Trivento di dimensioni considerevoli suddiviso in plurime quote il che rende difficile il visitarlo.
Anche i castelli a rudere, esemplari di architetture fortificate ridotte ormai in macerie con lacerti di muratura, brandelli di torri e pochi altri rimasugli che li rendono difficilmente riconoscibili sono stati privatizzati e magari su di essi non è stato apposto neanche il vincolo storico (vincolo architettonico o vincolo archeologico?). L’area un tempo occupata dal maniero a S. Massimo è diventata un orto e a Cantalupo una superficie a verde annessa ad un’abitazione. È da immaginare che per il padrone di tale particella gli spezzoni di mura eventualmente presenti riconducibili all’opera castellana crollata rappresentano dei meri ingombri dello spazio. Non è da credere che un proprietario privato possa ricavare una qualche utilità dall’esistenza di resti nella sua proprietà, tutt’al più se ne potrà servire per allestire un “giardino con rovine”.
Non si può pretendere che esso si accolli, senza risarcimenti economici, l’onere di conservazione delle tracce di un’antica rocca e tantomeno che compia accertamenti per verificare la sussistenza nel sottosuolo di muretti o non so che di fattura medioevale, non ne ha le competenze. Tanto vale che la mano pubblica faccia propri ogni sito sul quale si presuppone sorgesse un castello non fosse altro che per la sua posizione topografica al colmo dell’abitato, anche in assenza di altri indizi. Salvo il costo del terreno che, comunque, data la posizione in altura non facilmente raggiungibile, i requisiti per un appezzamento di terra idonei per installarvi un maniero, è evidentemente contenuto, si ritiene che tale acquisto non costituirebbe un aggravio significativo delle Uscite per le casse comunali. Una volta entrato in possesso del suolo il Comune potrebbe destinarlo a circoscritto parco pubblico, il che non fa mai male.
Francesco Manfredi Selvaggi644 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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