Il «filo spinato» di Vincenzo Ucciferri a diciotto anni dalla scomparsa

di Giovanni Petta
Ho la fortuna di soffermarmi quotidianamente − grazie alle conseguenze di un regalo prezioso − sul “filo spinato” di Vincenzo Ucciferri. È un’opera collocata in una posizione strategica, nella mia casa. Ci si passa spesso davanti ed è difficile non essere provocati da quel filo che è stato teso tra se stessi e il mondo, tra chi osserva e le cose osservate.
È un’opera del 1980, di quarantacinque anni fa. In quegli anni la leader conservatrice britannica Margaret Thatcher guidava il Regno Unito e Karol Wojtyla era diventato papa. In economia, il modo di produrre si stava trasformando rapidamente con la crescita dell’automazione. A ciò si aggiungeva l’intervento militare dell’Urss in Afghanistan, ossia l’inizio del “Vietnam sovietico”.
In Italia ci fu il netto arretramento del Pci alle elezioni politiche. La Democrazia Cristiana e Bettino Craxi volevano tenere i comunisti fuori dalle maggioranze di governo. Chi, come il dirigente democristiano Piersanti Mattarella, in Sicilia, immaginava diversamente, coerente con l’impostazione di Moro, veniva ucciso, nel gennaio 1980.
Ma il 1980 fu anche l’anno di Ustica e della strage alla stazione di Bologna. Intanto, Canale 5 di Silvio Berlusconi iniziava le sue trasmissioni a livello nazionale. Il 6 ottobre, Maurizio Costanzo, aderente come Berlusconi alla loggia P2, intervistò, sul “Corriere della Sera”, il capo della P2 Licio Gelli, legittimando in quel modo il personaggio
L’anno si chiudeva col terremoto dell’Irpinia del 23 novembre, seguito dalla denuncia dei ritardi nei soccorsi da parte del Presidente della Repubblica Pertini.
Insomma, il «filo spinato» di Ucciferri si tende ogni giorno, ai miei occhi, per significare una infinità di cose. Sblocca ricordi e sensazioni. Ricompone frammenti di memoria che hanno provocato sofferenza, ansie e inquietudini.
E, pur potendo essere facilmente ricollegato ai fatti storici coevi, quel «filo» ha ormai superato la dimensione temporale e quella spaziale per universalizzarsi nell’arte di cui Vincenzo Ucciferri era interprete capace. Quell’opera riesce, dunque, a parlare in qualsiasi periodo della storia.
Oggi, non c’è più la Thatcher, ma i conservatori, spesso estremisti, diventano sempre più numerosi. Non c’è Woytila ma Francesco è un papa altrettanto dedito al cambiamento. Non c’è più l’Urss a invadere l’Afghanistan ma c’è la Russia a invadere l’Ucraina. Molto è cambiato da quel 1980 in cui Ucciferri pensò di disegnare il suo «filo spinato» ma tale cambiamento sembra piuttosto una sorta di metamorfosi di ciò che il pittore aveva già evidenziato quarantacinque anni fa: prepotenza, superbia, prevaricazione, scarsa considerazione degli esseri umani, separazione e individualismo al massimo grado. A sottolineare la insignificanza seriale che caratterizzava gli individui, Ucciferri dipinse sui suoi quadri, per un periodo, il codice a barre che in quel momento andava diffondendosi.
Quotidianamente osservo il «filo spinato» di Ucciferri. Non è un caso che le case a cui si arriva − qualora il fortunato riuscisse a superare l’ostacolo metallico e pungente − sono prive di porte. In lontananza, c’è, poi, ancora un muro di recinzione da superare… Nel tempo trascorso dalla realizzazione di quell’opera ad oggi, abbiamo abbattuto muri importanti ma non siamo riusciti a eliminare gli steccati, le recinzioni… Eppure, la civiltà mediterranea, quella di cui facciamo parte, che ci caratterizza molto più del termine “Occidente”, aveva proprio nell’accoglienza un’abitudine fondamentale e fondante della propria identità. Ecco, invece, i respingimenti ed ecco l’importanza della visione di Ucciferri cinquant’anni prima che Trump e Musk, Putin e Li Qiang sovrapponessero con la forza militare o con quella economica le proprie consuetudini a secoli e secoli di civiltà. Ecco il «filo spinato» che continua a separare, ad allontanare, a non accogliere.
Vincenzo Ucciferri era nato a Isernia nel 1953. Aveva frequentato l’istituto d’arte «Manuppella» di Isernia e si era iscritto all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Si era diplomato a Napoli, sotto la guida di Armando De Stefano. Dal 1972, anno della prima personale, le sue opere sono state esposte ininterrottamente in Italia e all’estero. Venne a mancare il 16 marzo del 2007.
E noi lo ricordiamo, a diciott’anni dalla sua scomparsa, per la bellezza della pittura e della persona, per la capacità di vaticinare col segno le tappe di una umanità dolente, colpevole perché sempre meno consapevole di sé.
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