Un’architettura storica integrata, palazzo più giardino

di Francesco Manfredi-Selvaggi
Si tratta del Palazzo Pandone a Boiano, la residenza feudale, con il suo giardino il quale sia in quanto giardino sia in quanto storico è una rarità nel Molise. Il terrazzamento che lo suddivide in 3 ripiani può essere interpretato anche come funzionale alla difesa idrogeologica, con i suoi muri di sostegno che prevengono lo slittamento a valle del versante (Ph. F. Morgillo-Veduta dal giardino del palazzo)
Non è che si voglia essere prosaici, ma una valutazione sulla qualità di un giardino non può prescindere dall’esame dell’impegno profuso per la sua realizzazione. La bellezza necessita della fatica, il lavoro richiesto per l’allestimento della superficie a verde testimonia la convinzione del proprietario di voler fare qualcosa di bello. Partiamo, dunque, dall’analisi della morfologia del suolo avendo in mente questa considerazione: il giardino non è un semplice adattamento dello spazio naturale allo scopo di farne un posto idoneo per la ricreazione all’aperto, bensì un artefatto antropico in senso proprio il che può comportare una trasformazione profonda dello stato dei luoghi.
Nella progettazione di un giardino non ci si fa scrupolo di modificare in maniera decisa la situazione originaria, altrimenti se ci si limitasse a livellarne le gibbosità e ad attrezzarlo con elementi di arredo “leggeri” esso sarebbe una Zona Verde Attrezzato secondo la classificazione dello strumento urbanistico, Pubblica o Privata, destinata al riposo degli anziani, allora dotata di panchine, oppure allo svago dei bambini, in tale caso con giochini. In una realtà naturale, ma è un fatto specifico, con caratteristiche ecologiche di pregio per permettere il godimento di tale ambiente, la sua “valorizzazione”, si predispongono, lasciando l’orografia tal quale, sentieri di visita, segnaletica illustrativa, ecc. e per tale area vegetale non sarebbe appropriato l’uso del termine giardino, sarebbe più attinente la definizione di oasi o di parco a seconda della dimensione.
Termina qui il preambolo e passiamo ora all’oggetto che ci siamo proposti di guardare. Il terreno esterno al palazzo Pandone per farne un “luogo di delizie” è stato riplasmato attraverso il terrazzamento del pendio. Si contano ben tre terrazze, non meri gradoni in quanto sono, se fossero gradoni li chiameremmo pedate, dei ripiani di adeguata sezione trasversale, in quello finale è più ridotta. Tali terrazzi, adesso ci riferiamo, ai primi due partendo dal basso, sono abbastanza larghi da consentire, muovendosi o sostandovi sopra, di avere punti di visuale verso l’alto, in direzione del versante del rilievo, di una sua porzione sovrastante il palazzo pertinenza dello stesso, potenzialmente una estensione del giardino che si contrappone a questo dove la natura è umanizzata poiché qui la natura è selvatica.
Se “il guardo è escluso” verso valle, verso il contesto urbano, per via di una fila di pareti delle abitazioni sottostanti, il loro retro, verso monte viene ad abbracciare un areale extraurbano inselvatichito che virtualmente, perché solo con lo sguardo, viene ricompreso nel giardino. I muri che sorreggono le terrazze nonostante abbiano una certa altezza, non arrivano a superare i 3 metri, posizionandosi appena un po’ distanti dal loro piede essi non occludono i coni visivi guardando in su (in giù i predetti coni sono interrotti dal caseggiato che si è detto). Le murazioni di sostegno sono posizionate, la loro serie, secondo la linea di massima pendenza del declivio e, però, non vanno equivocate quali presidi contro lo scivolamento del pendio; non si ritiene plausibile tale interpretazione della loro funzione anche se effettivamente alla base del sistema terrazzato vi è la cortina edilizia predetta ipoteticamente minacciata dallo scoscendimento di materiale terroso o roccioso, non per niente non molto lontano da qui c’è il settore cittadino chiamato Pietre Cadute.
Siamo nel campo idrogeologico e ci rimaniamo per dire che questa schiera di case è, da un lato, soggetta a pericolo e, dall’altro, è essa fonte di pericolo impedendo il passaggio delle acque meteoriche che scorrono da sopra, dall’altura, a sotto, alla piana. Si noti che il basamento della terrazza intermedia, la seconda sia se il conteggio lo inizi da giù sia da su, è costituito da un arcone e ciò favorisce il deflusso idrico. Si può notare che il costo per il modellamento del fronte inclinato su cui insiste il giardino è stato notevole tanto per gli scavi e riporti, con il medesimo materiale di scavo, quanto per i muraglioni e l’arcata.
Si coglie un disegno definito nell’organizzazione spaziale: le terrazze, sempre le due in basso, sono concepite come dei moduli, rettangolari, regolari. A presiedere il progetto è stata appunto la geometria, il giardino risulta un insieme di elementi ripetuti, appunto le terrazze, evidenziando che non è significativo in sé il singolo terrazzo quanto piuttosto la loro sequenza pur’essa regolare. L’ultimo terrazzamento è unito al palazzo che ad esso si collega tramite una loggia. Questa ha una duplice funzionalità, la prima quella di punto panoramico in quanto sta alla quota massima della particella, la seconda come raccordo tra il giardino e la residenza.
La loggia si carica così di molti compiti, da quello suo proprio di congiunzione tra i locali abitati posti a quel livello che affacciano su di essa, a mò, per intenderci, di corridoio, o ballatoio “pensile”, a quello di osservatorio del panorama, in verità abbastanza limitato, bisogna riconoscerlo, a quello di intermediazione tra il dentro, dell’alloggio, e il fuori, il giardino. Dalla loggia si diparte un camminamento, al coperto pavimentato, il pavimento del loggiato, e allo scoperto inghiaiato; vi è una preziosa balaustra con colonnine su cui, di tanto in tanto sono sovrapposte fioriere, che delimita il viale.
L’effetto generale è che loggia e viale costituiscono un tutt’uno, gli ambienti interni si interpenetrano con quelli esterni, il palazzo e il giardino sono parti di un’architettura integrata. Il viale (vialetto?) costeggia i terrazzamenti, sta discosto per cui non determina interruzioni e si conclude con un ingresso distinto e separato dall’accesso al palazzo fungendo da entrata secondaria poiché tramite il viale si raggiunge il loggiato.

Francesco Manfredi Selvaggi670 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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