I Brics ridefiniscono l’ordine mondiale: ormai il G7 è una cover band sbiadita

di Pasquale Rinaldis
È la fine di un’era e l’inizio di un’altra. Come il momento esatto in cui il punk ha fatto esplodere il prog o quando il free jazz ha trasformato il be-bop in un fossile da museo. Solo che stavolta non ci sono chitarre spaccate sul palco o batterie distrutte alla Keith Moon. C’è un acronimo. E se credete che un acronimo non possa essere rock’n’roll, non avete capito granché di Storia.
Brics. Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica. Il nuovo supergruppo. Solo che non suonano chitarre, ma economie. Non fanno assoli, ma ridefiniscono l’ordine mondiale a colpi di investimenti, gas naturale, rinnovabili e strategia politica. Gente che ha capito che la vecchia band – il G7 – è ormai una cover band sbiadita dei bei tempi che furono.
Perché il mondo non è un vinile che gira all’infinito sulla stessa traccia. È un nastro magnetico che si riavvolge e poi sputa fuori qualcosa di nuovo, inaspettato, pericoloso. E l’Occidente, ah l’Occidente, è ormai come quei vecchi critici musicali che nel 1977 dicevano che il punk era solo una moda e che i veri musicisti erano quelli con i virtuosismi da dieci minuti. Lo stesso Occidente che nel 1990 pesava per il 52% del PIL globale e oggi si tiene stretto un misero 29%. Scusate se rido, ma mi ricorda l’Italia che nel 2006 festeggiava il Mondiale e pochi anni dopo annaspava tra crisi economica e scandali politici, costretta a ricorrere ai tecnici di Mario Monti.
Il libro di Margherita Furlan, BRICS. Scacco Matto. L’ultima scelta: vivere o morire, suona come un concept album di quelli che devi ascoltare dall’inizio alla fine per capire che diavolo sta succedendo. Tipo The Rise and Fall of Ziggy Stardust ma con più geopolitica e meno glitter. L’autrice, l’unica occidentale presente al vertice di Kazan nell’ottobre del 2024, racconta di un mondo che si sta riallineando su nuovi accordi. Mentre qui da noi si discute di influencer e ci sfondiamo di TikTok e reality show, là fuori c’è chi sta fondando la porta della Storia a calci.
E noi? Noi siamo la vecchia Europa che un tempo flirtava con la Russia come una groupie nostalgica e poi, dopo il 2014, ha deciso di sbattere la porta in faccia al suo vecchio amante. Ma la Russia non è rimasta a piangere con una ballata triste da fine concerto. No, ha tirato fuori un riff brutale, euroasiatico, un qualcosa che l’Occidente non capisce perché l’Occidente pensa che la forza sia solo una questione di missili e non di spirito. Ah, stolti! Avete mai ascoltato Coltrane? Quella è la forza dello spirito. E la Russia ha preso la sua Love Supreme e l’ha trasformata in una macchina da guerra economica.
Intanto, mentre i Brics pianificano la loro rivoluzione come un disco dei Fontaines DC, qui in Europa la stampa fa il solito gioco delle tre carte. L’informazione è diventata un dj prezzolato che mette su solo i pezzi che piacciono allo sponsor della serata. Il Tg1, sotto la direzione Chiocci, sembra più una boy band patetica che un vero notiziario, passando dal giornalismo d’inchiesta al giornalismo da karaoke.
E poi c’è la politica, che ormai è come il mercato discografico degli anni 80: plastificata, senza anima, tutta immagine e zero sostanza. Una volta c’erano gli imprenditori con una visione, i Crespi, i Pirelli, gli Olivetti. Gente che almeno provava a far suonare l’industria come una sinfonia. Oggi? Oggi i manager sono come produttori di hit usa e getta, pronti a spostarsi da un’azienda all’altra con la stessa leggerezza con cui un pop star cambia produttore. E lo Stato? Lo Stato è il manager che si intasca il 90% degli incassi e dice che lo fa per il bene della band.
Intanto, la paura è il nuovo strumento promozionale del secolo. Ti convincono che la Russia sta per invadere l’Europa come un vecchio film di serie B su Godzilla. E allo stesso tempo ti dicono che la Russia è alla canna del gas, che usa chip delle lavatrici per le sue armi. Il pensiero propagandistico è come un concept album di pessima qualità: incoerente, pretenzioso e dopo un po’ nessuno lo ascolta più.
E allora che si fa? Si aspetta il nuovo disco del mondo, il vero game changer, quello che butterà giù le vecchie strutture come il punk fece con il progressive? O ci rassegniamo a restare spettatori, con le nostre magliette sbiadite da rocker e la nostalgia per un passato che non tornerà più? La risposta è tutta lì, nel titolo del libro: Scacco Matto. Vivere o morire. Perché la storia non aspetta. E la geopolitica, miei cari, è il rock’n’roll definitivo.
da Il Fatto Quotidiano
Foto © Imagoeconomica
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