Se non basta c’è pure il non finito nell’architettura storica

di Francesco Manfredi-Selvaggi
Ci sono opere che non risultano completate, rimaste, i casi molisani, privi di tetto e allora occorre provvedere a fare la copertura. I metodi da seguire sono, in alternativa, quelli del restauro stilistico o quelli del restauro filologico i quali sono molto diversi fra loro, l’uno basandosi sull’omogeneità di stile con altri edifici simili da cui dedurre la forma delle parti mancanti e l’altro sulla documentazione storica dello stesso (ph. 2 immagini dall’ interno del Conventino di Sepino)
La conservazione dei beni culturali è un’attività dalle molteplici sfaccettature. Proviamo a vederne alcune, in verità solo a sbirciare. Iniziamo con l’argomento archeologia industriale, un campo di operatività per gli addetti alla salvaguardia che nel Molise è poco sviluppato, da un lato per il ridotto numero di industrie che ha da sempre caratterizzato la nostra regione e dall’altro lato per l’elevata sismicità di questo territorio la quale impone che la struttura sia compatta, non a maglie larghe come invece richiedono gli ambienti per la produzione necessitando di spazi liberi da pilastrature ampi.
È ovvio che la pericolosità è limitata per gli stabili piccoli i quali però potranno diventare tutt’al più musei di sé stessi. Altrove i vecchi fabbricati produttivi vengono trasformati tranquillamente in musei o auditorium o in altre destinazioni d’uso socio-culturali, una domanda crescente; da noi invece tali capannoni datati, cioè costruiti antecedentemente alla classificazione sismica del territorio, non possono essere riutilizzati a nuovi fini se non che con costosi interventi di consolidamento antisismico per cui tanto varrebbe a volte demolirli e ricostruirli. Il supermercato di via Gazzani a Campobasso è una “replica” esatta del Magazzino Enel andato giù, un rifacimento fedele del preesistente edificio, la cui organizzazione strutturale è, però, rinnovata in linea con le vigenti disposizioni per la difesa dalle scosse telluriche.
Si ritiene, comunque, che sia stato un adattamento forzato quello dello spazio in origine deposito dei mezzi della società elettrica per soddisfare le esigenze di un supermarket, si pensi solo al passo del telaio portante con la distanza dei pilastri che non è detto sia quella idonea alla collocazione degli scaffali, due misure diverse. Tolte le chiese che sono dei volumi grandi, non è dato trovare all’interno dell’eredità architettonica molisana se si esclude la paleoindustria, a prescindere dalla tematica del pericolo terremoto, opere in grado di riconvertirsi in sale teatrali, locali per mostre, ma anche palestre, mercati coperti, ecc.
In definitiva, qui da noi il recupero di questi fabbricati è un tema secondario. È anch’essa una faccenda minore perché si tratta di casi rari quella del completamento di opere di valenza storico-artistica lasciate incompiute. Abbiamo una situazione di questo tipo nel centro storico di Salcito, l’altra sarà quella di Sepino completamente diversa, con una chiesa di impianto rinascimentale la cui copertura è stata realizzata di recente dalla Soprintendenza alle Belle Arti. È ancora un “senzatetto”, è un luogo di eremitaggio che rimanda al precetto sulla povertà di S. Francesco, il Conventino di Sepino il quale non ha ancora il tetto un manufatto religioso di proprietà privata la cui realizzazione, incompleta, è ottonovecentesca seppure in stile medievale.
La problematica alla quale rimanda è piuttosto che quella del terminare una costruzione non finita quella della preservazione di una fabbrica allo stato di rudere seppure si tratti di resti non molto antichi, ma per troppo tempo è rimasta scoperchiata; le rovine, che rovine non sono in quanto non vi è il crollo, peraltro sono molto suggestive sia perché medievaleggianti sia per la loro collocazione in un contesto naturale integro, un’atmosfera da letteratura “gotica”. Una tematica aggiuntiva che il Conventino solleva è quella della prevenzione che dovrebbe essere collocata al primo posto, prima del restauro e della manutenzione, tra le azioni da effettuarsi da parte dell’organo di tutela, la quale nel caso specifico consisterebbe nella eliminazione della vegetazione infestante che essendo penetrata all’interno di questo spazio di culto si avvinghia ai maschi murari e, prima o poi, così ci sarà quel crollo di cui sopra.
Non è finita qui con il Conventino perché esso mette in campo un ulteriore aspetto della preservazione, quella della identificazione sicura del proprietario del bene. È ricorrente, infatti, per tantissimi organismi edilizi abbandonati la difficoltà di riconoscere il possessore e ciò in quanto potrebbe essere qualcuno che è ormai emigrato. È diffuso il problema di coloro che hanno mulini, fienili, stalle, ecc. strutture che hanno perso qualsiasi funzionalità ai quali si dovrebbe imporre la riparazione e che magari non hanno soldi per farlo. Oltre che per la salvaguardia del patrimonio culturale l’obbligo perlomeno della messa in sicurezza dell’oggetto architettonico è indispensabile per evitare che la sua caduta provochi danni a cose o persone che stanno all’intorno.
È un pericolo concreto se tale architettura sta nel nucleo urbano meno, ovviamente, se è isolata in campagna. Sarà per questo che l’autorità ecclesiastica la quale ne è in possesso non provvede al consolidamento della chiesetta di S. Maria delle Fratte a S. Massimo il cui attributo, delle Fratte, indica l’ubicazione nell’agro. A dire il vero è della Chiesa anche il palazzo Gioia, una donazione, che è nel cuore del paese, sempre S. Massimo. C’è il rischio che questa “casa palaziata” vada in rovina perché inutilizzata, ma già ora per il degrado della facciata rappresenta un autentico fattore di depauperamento dell’immagine del borgo; ciò fa il paio con l’effetto di impoverimento della qualità paesaggistica dell’omonima collina che si prova di fronte alla Cappella ovvero chiesa di S. Maria delle Fratte la cui conservazione è minacciata da una lesione sul prospetto. Il palazzo Gioia, le sue condizioni attuali, ci sollecita ad affrontare anche la questione del restauro del restauro dovendosi procedere per questo immobile a correggere alcune lavorazioni eseguite nel precedente intervento di restaurazione, forse ad integrare i presidi statici già messi in opera come l’aggiunta di catene metalliche le quali non fanno mai male.

Francesco Manfredi Selvaggi677 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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