Borghi fortificati per difendersi dal sisma

di Francesco Manfredi-Selvaggi

I terremoti si sono alleati con lo spopolamento che porta all’abbandono delle case le strutture delle quali così si indeboliscono aumentando la vulnerabilità dell’abitato.

Il terremoto, i terremoti, sono una minaccia per l’integrità del patrimonio edilizio storico. La sismicità maggiore, che è poi quella di grado massimo nella scala di classificazione sismica, la si ha nella fascia appenninica che rientra quasi per intero nella Zona sismica 1 dove il popolamento è più antico rispetto a quello dell’ambito costiero. Qui, dunque, vi è un gran numero di borghi tradizionali, tutti di grande interesse culturale la cui perdita costituirebbe un grave depauperamento dell’eredità architettonica della nostra regione.

Questi nuclei abitativi di origine medioevale hanno una elevata vulnerabilità rispetto alle scosse telluriche sia per le tecniche costruttive utilizzate, basate sull’impiego della pietra locale, sia per le caratteristiche geomorfologiche del territorio. Abbiamo detto che siamo sull’Appennino, quindi in area montuosa dove sono presenti una serie di fattori predisponenti il verificarsi di terremoti, in primo luogo le faglie (si indaga, per citarne una, su quella che interessa il massiccio del Matese e che passa proprio nel santuario di Ercole Curino a Campochiaro).

Salvo la liquefazione dei terreni di fondazione, pericolo che minaccia le pianure, vedi il sisma dell’Emilia del 2012, nei comprensori montagnosi si rinviene ogni altro elemento che produce l’amplificazione della spinta sismica. Si va dagli aspetti topografici quali le creste e le dorsali sulle quali sono appollaiati tanti paesi molisani a quelli più propriamente geologici, i comuni spesso essendo posizionati su litologie diverse nelle loro fasi di accrescimento per cui è possibile incontrare edifici a cavallo di due litotipi distinti con differente comportamento sismico.

L’espansione, poi, che si è avuta nel periodo ottocentesco ai margini dell’agglomerato antico che, di regola, sorge su roccia può aver sfruttato suoli di peggiore qualità (geomeccanica) e, quindi, con peggiore resistenza al terremoto. Il sisma mette in moto frane quiescenti o ne determina di nuove, ambedue fenomeni registrati in occasione degli ultimi accadimenti tellurici che hanno colpito il Molise. La caduta di materiale roccioso è frutto, potenzialmente, dello scuotimento sismico come è successo a Pietrabbondante le cui «morge» dopo il terremoto del 1984 sono state “impacchettate” con rete elettrosaldata perché incombenti sull’abitato.

Quasi senza accorgersene siamo entrati, parlando di terremoto, nel campo del dissesto idrogeologico, vera piaga della regione, del quale qui da noi è riscontrabile qualsiasi tipologia ad eccezione del crollo delle cavità sotterranee, non destando preoccupazioni quelle molto conosciute del sottosuolo nel centro storico di Campobasso. L’instabilità legata all’idrogeologia riguarda principalmente l’agro, anche se non mancano episodi franosi che hanno coinvolto agglomerati urbani, prendi Monacilioni diventata la «Pompei del Molise»; ciò non significa, di certo, che essa sia un tema marginale nella salvaguardia di quegli autentici monumenti che sono gli insediamenti nati nel medioevo in quanto provoca, di frequente (almeno nell’epoca attuale), l’interruzione delle comunicazioni viarie costringendo all’isolamento il nucleo abitativo, perdura quello di Civitacampomarano da troppo tempo.

Se è vero che la sismicità si associa alla morfologia dei luoghi, in montagna essa è accentuata; è anche vero che quando l’assetto morfologico è complicato come succede alle quote collinari e montane allora il paesaggio è più vario e, di conseguenza, più bello; in definitiva, perlomeno qui da noi, la bellezza paesaggistica ha quale prezzo da pagare quello di poter essere deturpata da un terremoto. Nonostante la lunga serie di sismi che ci ha flagellati l’uomo non ha mai abbandonato le «terre alte» riedificando negli stessi siti nei quali stavano gli agglomerati insediativi distrutti dal sommovimento tellurico.

I molisani si sono arresi solo di fronte agli scoscendimenti del suolo spostando più in là le abitazioni, delocalizzando l’aggregato edilizio e quando non lo hanno fatto spontaneamente sono stati costretti a farlo da decreti governativi. È il caso di Villa S. Michele a Vastogirardi che sostituisce Pagliarone, ma non lo è Castellino sul Biferno i cui abitanti si sarebbero trasferiti a Castellino Nuovo magari solamente se forzati dai carabinieri. Lasciare la propria casa significa anche allontanarsi troppo dal proprio campo, dalle proprie bestie.

Per tale ordine di ragioni percorrendo le strade delle cosiddette «aree interne»non si vedono nuclei abitativi allo stato di rudere (un caso a parte è quello di Rocchetta al Volturno Alta) e non perché ormai riassorbiti dalla natura, bensì per lo sforzo che c’è stato di ricostruire nel medesimo punto quanto buttato giù dal sisma. La causa delle rovine, invece, va ricercata nell’emigrazione che ha portato via nell’ultimo secolo tante persone dall’Italia meridionale: il terremoto dà il suo contributo allo spopolamento, il colpo di grazia all’esistenza dei piccoli centri quando le condizioni economiche e demografiche sono indebolite e non vi è alcun motivo per rimanere.

Allo stato in cui ci troviamo ora il problema della sicurezza sismica ha acquistato una rilevanza enorme per via delle tantissime costruzioni disabitate e conseguentemente prive di manutenzione, in Comuni che in precedenza ospitavano la gran parte dei cittadini molisani prima assai più numerosi di oggi. L’entità del patrimonio edilizio, testimonianza delle civiltà passate, è tale che è complesso intervenire, ma va fatto con urgenza.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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