A Pietrabbondante gli Dei assistono alle commedie

Il tempio è appena un po’ più su del teatro dalla cui orchestra se ne vede bene il fronte. Essi, dunque, sono saldati insieme e insieme pure al paesaggio che li circonda. Santuario della natura sono i parchi e questo è un santuario della natura.

I santuari molisani sono luoghi di culto legati alla presenza di qualche fatto singolare dell’ambiente. Collegato ad una fonte è quello, il più recente, di Castelpetroso, o almeno la sede originaria, la Cappella delle Apparizioni. A S. Angelo in Grotte è, appunto, una grotta ad avere ispirato il sentimento religioso e ciò ha avuto inizio fin dal principio dell’era cristiana perché S. Michele era il protettore dei longobardi.

Pure nell’antichità si doveva essere verificato qualcosa di simile, prendi lo scomparso bosco sacro di Fonte del Romito tra Agnone e Capracotta; qui venne trovata la Tavola Osca in cui sono enumerate varie divinità (in verità, sempre la stessa Cerere, mediante vari appellativi) ad ognuna delle quali corrispondeva un albero con adiacente altare e il rito prevedeva un circuito che li connetteva.

Distesa boschiva era anche quella alle pendici del Matese dove sorge il tempio di Ercole Curino, ci troviamo a Campochiaro (è tuttora presente la copertura arborea) e boscoso era sicuramente il sito del tempietto di S. Giovanni in Galdo adesso superficie agricola. Presso una sorgente sta il tempietto di Vastogirardi nella località Piana dell’Angelo.

È la natura, specie quella dove emergono con forza elementi primari, cioè foresta, cavità, roccia e emergenza sorgentizia, a conferire sacralità ad una certa parte del territorio e ciò venne confermato in alcune occasioni quando si ebbe il processo di cristianizzazione: almeno in tre casi si è avuta la sovrapposizione di una chiesa cattolica su di un tempio pagano e sono le cattedrali di Isernia e di Trivento le quali, però, sono intramurarie quindi non in rapporto con fattori naturali e il tempietto di Vastogirardi.

L’agro è sicuramente meno controllato dall’uomo di un centro urbano e, proprio per questo, abbastanza misterioso mentre i posti abitualmente frequentati sono privi, in quanto ben conosciuti, di qualunque carica esoterica, di richiamo all’extraterreno, a cominciare dagli insediamenti abitativi. A meno che non si voglia aderire alla tesi che Pietrabbondante sia Bovianum Vetus come propugnato, per primo, da Mommsen oppure Cominium per altri autori, il santuario situato nella zona chiamata Calcatello è anch’esso rurale.

L’edificio culturale è dedicato alla dea Vittoria e tale dedicazione qualche legame lo deve aver avuto con l’esito vittorioso di una fase delle “guerre sannitiche” da parte delle popolazioni italiche. Questo era il posto dove si radunavano le diverse tribù che formavano il Sannio per assumere le principali decisioni relative alla nazione specie in materia bellica. Qui, sembra coglierlo in un passo di Tito Livio, avvenne il giuramento della legio linteata ovvero “l’ultima legione”, mutuando questa espressione dal titolo di un noto film, che combatté, perdendo, contro Roma; Annibale prima di raggiungere Canne intese distruggerlo identificando nel santuario la capitale di questa terra ormai assoggettata all’Urbe dove il fenomeno urbano non si era ancora affermato.

La devozione a Vittoria appare di comodo e comprensibile se inserita nel quadro delle vicende militari che per un lungo periodo segnarono la vita di quel popolo, ma è apparsa di recente una teoria, ritenuta plausibile dal Soprintendente ai Beni Archeologici del Molise di 15 anni fa, dott. Mario Pagano, secondo la quale la divinità originaria venerata nel santuario era Mefite, soppiantata poi da Vittoria.

Mefite era una dea presente in quest’area come dimostra il tempio di S. Pietro in Canton vicino Sepino ad essa consacrato; nel caso in questione le terme alle quali tale divinità è preposta sono, però, lontane da Altilia e ciò permette, con qualche probabilità, di ritenerla la protettrice non solo delle acque termali, bensì pure di tutte quelle superfici dal cui sottosuolo provengono intensi odori.

Magari perché ricche di tartufo il quale deve la sua fortuna in cucina alle sue emanazioni odorigene. In verità apprezzate oggi e non nell’antichità. È una semplice ipotesi, non supportata da alcuna documentazione storica, non suffragata da alcun studioso e, lo si ammette, un po’ spinta (l’archeologia in quanto scienza prevede una tesi che poi va dimostrata) e, però, ci piace metterla in campo anche perché ci consente di spiegare la sacralità dell’angolo territoriale in cui ricade il santuario di Pietrabbondante, battuto spesso dai cercatori del prezioso tubero.

Una interpretazione conformemente a quella adottata per Campochiaro, che porta a supporre che il senso del divino provenga dalla copertura forestale di questa fascia alto-collinare la quale se, da un lato, sarebbe utile per prevenire le frane delle quali ci sono tracce nel sito templare, dall’altro impedirebbe e, soprattutto, avrebbe impedito all’epoca, di percepire in un raggio di distanza considerevole il santuario.

Per la sua imponenza non si può proprio pensare che si volesse che le piante lo occultassero. Esso oggi come ieri e più ieri quando l’ambito era privo di segni antropici l’area culturale doveva costituire un autentico Landmark, un punto di riferimento territoriale, nucleo focale di un grande ambito. Infine, si propone quale spiegazione della devozione lo stesso ambiente in cui è ricompreso, la cui maestosità è indubitabile per la vastità dello scenario che va dalla vallata del Verrino fin dove questo si congiunge con il Trigno e arriva alla cima di monte Saraceno; non è la bellezza paesaggistica a colpire gli antichi quanto la evidenza delle forze naturali, compresenti in tale territorio che abbraccia tanto la montagna quanto il piano.

È la visione definibile di carattere panteistico in cui natura e divinità sono fusi insieme. I modi di sentire ancestrali erano superati quando i Sanniti costruirono il santuario essendo già entrati in contatto con la cultura greca che attribuiva una grande importanza alla razionalità e quindi alla geometria ricercando le proporzioni armoniche nella lettura del mondo così come nell’arte. La religione ha ormai abbandonato l’animismo di qualsiasi forma.

Vi è un asse che lega il tempio al sottostante teatro, giusto al centro della valle, allineamento che (quasi a volerci insegnare a come leggere il paesaggio) prosegue in alto verso il colmo di m. Saraceno delimitato da una cinta muraria a scopo difensivo e in basso in direzione del corso del Verrino. Vi sono due manufatti, il tempio (B) e il teatro, lo si ripete, perfettamente allineati fra loro (e coerenti con l’andamento del pendio) costituenti un corpo unitario ed aventi sezione analoga.

È, di certo, un intervento pianificato perché sono coevi, gli dei sono ora confinati nell’Olimpo, non più in terra che è nostra. Il tempietto precedente di un periodo antecedente detto tempio A è laterale, ma esso è, comunque, in linea trasversalmente, pressoché orizzontalmente, con il teatro posizionati come sono su un’unica terrazza, specifichiamo virtuale, mentre il tempio B poggia, anch’esso in maniera ideale, sul terrazzamento in cui è appoggiata pure la domus pubblica che è, seppur traslata altitudinalmente, su lato opposto a quello del tempio A rispetto alla direttrice longitudinale (sottolineando, lo si ripete, volutamente la direzionalità nella morfologia dell’area) che passa al centro del tempio B e del teatro: vi è, dunque, oltre all’assialità, la simmetria tra gli elementi che hanno larghezza identica o, se si vuole, vi è bilanciamento dei pesi visivi, anche rispetto al baricentro della valle.

Niente di più classicista, o meglio di ellenistico per quella volontà di effetti drammatici rivelata dalla veduta del santuario per cui entrando dal tratturello che era la via di accesso con un solo colpo d’occhio si sarebbe visto sia il teatro e sia il tempio che lo domina.

Francesco Manfredi Selvaggi633 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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