Dal mulino esce l’elettricità e non più la farina

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Lungo il Biferno, ma anche sul Trigno, ecc. quasi tutti gli opifici destinati all’attività molitoria sono stati riconvertiti in centraline idroelettriche, progressivamente, a partire dagli inizi del ‘900. Sono prevalse le esigenze energetiche a scapito del settore agroalimentare tradizionale. La vicenda esemplare del mulino Tortorelli a S. Massimo.

Come ben si sa le attività economiche variano a seconda se siamo in montagna, in collina o in pianura. Ovunque si trovino esse hanno sempre bisogno di energia per azionare i macchinari necessari per le lavorazioni. Per quanto riguarda la montagna quella che qui da noi è considerata tale per antonomasia e cioè il Matese: vi è su questo massiccio, ad altezza elevata, una potenzialità mineraria che è stata sfruttata nel periodo dell’Autarchia fascista estraendo bauxite e manganese (vi era una miniera a cielo aperto vicino a Campitello).

Il problema era come trasferire a valle il materiale estratto mancando la strada per la località montana e allora si installò una teleferica alimentata dalla vicina centrale idroelettrica. Quest’ultima insieme a quella di Colli al Volturno che sorgeva ai piedi delle Mainarde nacque nei primi decenni del ‘900 per soddisfare al fabbisogno energetico sempre crescente di un’area, il Centro Sud, che come tutta la nazione, sempre con ritardo rispetto al resto del territorio, stava entrando nella modernità. La produzione di quantitativi rilevanti di energia richiedeva salti di quota delle acque che dovevano essere turbinate notevole e, perciò, era ed è indispensabile il rapporto con i rilievi montuosi.

Così sono le zone montane che al Nord sono le Alpi e nella Penisola l’Appennino il luogo privilegiato per l’industria idroelettrica. Lasciamo i monti e riprendendo il discorso iniziato sulle diverse attitudini produttive dei comprensori a seconda dell’altitudine passiamo alla collina. È questo il distretto preferenziale per il passaggio dei tratturi con le greggi che dall’alto dell’,appunto, Alto Molise e del contermine Abruzzo vanno in basso, nel Tavoliere attraversando le teorie di colli molisani che degradano in direzione delle distese pianeggianti pugliesi; dalle pecore si ricava la lana dalla quale, a sua volta, si ricavano i tessuti mediante i lanifici, dei quali uno dei più rappresentativi è quello di Sepino che sfrutta l’energia idraulica trasformando il moto continuo dell’acqua in moto alternato per la battitura dei panni (tramite un maglio).

Una tecnologia quella appena descritta assai differente, e anche più recente, da quella impiegata nei mulini in cui il movimento delle pale alle quali sono collegate le macine segue la corrente idrica ruotando senza, per così dire, contraddirlo. I mulini stanno sempre nel piano, cosa che non significa che siano ubicati sempre in vere e proprie pianure, bensì che stanno nel fondo di valli o vallecole fluviali o torrentizie rispettivamente. Continuando a parlare dell’area matesina, nel comune di S. Massimo c’è il mulino detto di “don Gaetano” il quale ci permette di mettere a fuoco una serie di questioni la prima delle quali è che se è vero che l’areale della coltura granaria è tradizionalmente collinare non è essa esclusiva di tale ambito perché è praticata pure nel piano (sempre la tematica delle vocazioni economiche per fasce altitudinali), nelle poche piane della nostra regione tra cui vi è la piana di Boiano.

Un altro tema che viene fuori esaminando questo mulino è che siamo di fronte ad un fabbricato a due livelli con quello superiore destinato ad abitazione. Non è indispensabile che il conduttore dell’attività molitoria risieda presso il mulino tanto è ridotto il periodo temporale in cui esso è in funzione, alcuni mesi successivi alla mietitura e trebbiatura del frumento e, del resto, in questo arco di tempo si hanno le prime piogge autunnali le quali assicurano ai corsi d’acqua la portata utile per mettere in moto le macine. Gaetano Tortorelli, avente il “titolo” di don perché appartenente ad una famiglia del ceto dei “galantuomini”, proprietari terrieri che affidavano le proprie terre a dei mezzadri, come quella che faceva il gestore del mulino.

Pertanto, egli oltre ad essere il mugnaio durante la fase della macinazione del grano provvedeva anche nel resto dell’anno alla coltivazione dei campi il cui raccolto condivideva con il padrone. All’interno dello stesso perimetro comunale, va detto, vi sono ulteriori due mulini, questi ultimi senza alloggio sovrapposto e che, comunque, sono planimetricamente più piccoli. Il mulino di Don Gaetano è servito, cosa scontata, da una strada e così gli altri due, ma ciò che è interessante nel primo è la presenza di un ponte che scavalca il Callora quasi appositamente per raggiungere tale opificio; infatti i mulini devono essere facilmente raggiungibili dai contadini con il loro carico di grano all’andata e di farina al ritorno.

Per questa ragione i mulini costituiscono un punto centrale nell’organizzazione territoriale, se non fisico (il mulino di don Gaetano è, in effetti, appartato anche rispetto alla borgata S. Felice, la meno distante), di sicuro funzionale, oltre che simbolico in quanto rimanda al pane, il cibo fondamentale. I mulini sono presenti in ogni paese, ma nella valle del Biferno, fiume che sgorga dal massiccio matesino, la loro distribuzione non è random poiché essi, pur se pertinenti ognuno ad un villaggio, sono disposti, con passo regolare, in serie lungo l’asta del corso d’acqua; ricomprendendo il Callora, cui è adiacente il mulino di don Gaetano in quanto affluente in questo sistema idrico si può parlare pure per il bacino fluviale di specializzazione produttiva alla stregua di quelle dei comparti territoriali montani e collinari, solo che qui essa è più spinta nel senso che è esclusiva e che la densità degli opifici è maggiore.

Sembrano essere nati contemporaneamente tutti questi mulini così come nel medesimo tempo si sono trasformati tutti insieme in centraline idroelettriche e ciò avviene a cavallo tra XIX e XX secolo con un’operazione molto semplice consistente nella sostituzione della ruota ad acqua con una turbina connessa ad una dinamo. Non è che si sarebbe potuto fare altrimenti essendo la morfologia praticamente piatta lasciando il mulino e costruendo a valle di esso l’impianto idroelettrico, il già citato torrente Tappone che è in pendenza i salti di quota dell’acqua tra l’impianto che sfrutta la spinta idrica (lanificio, centralina idroelettrica, 2 mulini e cartiera) e il successivo sono garantiti e pertanto lo si cita nuovamente per mettere in evidenza la situazione in contrapposizione dell’area bifernina.

I mulini sono un po’ l’emblema dell’agroalimentare e la loro fine rappresenta anche il termine di un certo tipo di economia, mentre subentra con la loro conversione in impianti idroelettrici la visione di una società sempre più energivora. Il primo utilizzo dell’elettricità prodotta da queste centraline è quello dell’illuminazione come succede a S. Massimo con l’energia elettrica per accendere le luci urbane fornita dal mulino di don Gaetano diventato centrale.

Francesco Manfredi Selvaggi633 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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