Il piano della task force guidata da Vittorio Colao
di Umberto Berardo
Il dossier presentato al governo Conte il 9 giugno dalla task force guidata da Colao e intitolato “Iniziative per il rilancio 2020-2022” si compone di 121 pagine ed è corredato da oltre cento schede.
Sei sono le aree d’intervento: imprese e lavoro come motore dell’economia; infrastrutture e ambiente come volano del rilancio, turismo arte e cultura come brand del Paese; una Pubblica amministrazione alleata di cittadini e imprese; istruzione, ricerca e competenze «fattori chiave per lo sviluppo; infine le famiglie e gli individui n una società più inclusiva e equa.
Proviamo a sintetizzare schematicamente quanto il piano propone.
Per la ripartenza delle imprese si prevede la digitalizzazione dell’economia con lo Smart Working, la valutazione dei dirigenti in relazione al raggiungimento degli obiettivi, le sanatorie per l’emersione del lavoro in nero in alcuni settori e del contante derivante da enormi redditi non dichiarati attraverso il pagamento di un’imposta sostitutiva tra il 10 ed il 15% e il reinvestimento di circa la metà in Italia in strumenti per il rilancio del Paese, liquidità alle imprese con compensazioni e rinvii per le scadenze fiscali di giugno e luglio, aumento di capitalizzazione anche attraverso trasferimenti azionari delle partecipate verso il privato, revisione del codice degli appalti, riqualificazione dei lavoratori e dei disoccupati, disincentivazione con tassazioni e sanzioni dei pagamenti col contante.
Sulle infrastrutture si punta ad un piano d’investimenti nel settore delle telecomunicazioni con lo sviluppo del 5G, delle autostrade, delle ferrovie e delle energie pulite, ma anche la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e un piano di salvaguardia dell’ambiente.
Per l’area del turismo, dell’arte, della cultura, dell’istruzione e della ricerca si insiste sulla riqualificazione delle strutture ricettive anche con l’utilizzo di beni immobiliari pubblici di carattere storico ed artistico, mentre per l’istruzione si punta ad un’aziendalizzazione del sistema con la collaborazione tra pubblico e privato, ad una formazione professionalizzante sia a livello di scuola secondaria che universitaria le cui facoltà dovrebbero fondarsi sulla mobilità dei ricercatori mentre si individua la nascita di poli di eccellenza scientifica con lauree professionalizzanti.
Si propone poi una pubblica amministrazione sempre più digitalizzata legata ad autocertificazioni e meccanismi di silenzio-assenso.
Per ciò che riguarda la cosiddetta società più inclusiva ed equa si fa riferimento a supporti psicologici alle famiglie, ad un welfare di prossimità nelle aree metropolitane, al sostegno per l’occupazione femminile e ad un assegno unico per i figli a carico.
Le posizioni su queste “Iniziative per il rilancio 2020-2022” da parte delle forze politiche e dei cosiddetti opinionisti appaiono alquanto diversificate tra chi le condivide integralmente come la Lega e quanti si pongono in attesa degli eventi o criticano la maggioranza delle proposte avanzate.
Il governo in particolare si è rifugiato in calcio d’angolo, per usare un eufemismo, convocando degli “Stati generali”.
Le linee di questo piano della task force guidata da Vittorio Colao che abbiamo cercato di descrivere in sintesi dicono con grande chiarezza a nostro avviso che c’è davvero poco di nuovo sotto il sole di un progetto di sviluppo del nostro Paese, ma soprattutto le proposte avanzate sono in linea con un neoliberismo che nulla o poco concede ad una visione alternativa degli esseri umani e del mondo in cui essi vivono.
Le difficoltà della burocrazia ad esempio non possono essere eliminate solo con la digitalizzazione, ma soprattutto con la semplificazione.
Anche l’emersione del lavoro e dei contanti in nero va ricercata con il pagamento intero delle tasse evase e con deterrenze reali nell’uso del contante altrimenti siamo ancora banalmente davanti a nuovi esempi di condono fiscale che tanto piacciono agli evasori.
Nel piano Colao nessun accenno a sistemi di contrasto alla corruzione ed al malaffare che sono sicuramente l’ostacolo maggiore allo sviluppo economico.
Nulla vi si legge sulla relazione tra obiettivi da raggiungere e fondi da destinare ai diversi settori della vita sociale, culturale ed economica.
L’eliminazione delle condizioni di povertà attraverso un’equa distribuzione della ricchezza sembra ancora orientata a forme di sussidio come quelle umilianti ed inutili fin qui immaginate che a nulla sono servite per realizzare veramente la dignità della persona.
Neppure un accenno alla creazione di un “lavoro di cittadinanza” con la realizzazione finalmente della piena occupazione come suggerisce chiaramente la nostra Costituzione nell’art.4 .
Il sistema economico prospettato è quello di tipo capitalistico dove a farla da padroni sono ancora il mondo finanziario e i grandi investitori.
È per tale ragione che capziosamente si parla della collaborazione tra pubblico e privato non solo in settori dove si sono già fatti danni enormi come nella sanità e nella scuola, ma anche nel mondo delle imprese dove per le partecipate si individua una loro ricapitalizzazione anche attraverso trasferimenti azionari dal pubblico al privato suggerendo perciò dismissioni di aziende e strutture che non solo sono parte della ricchezza del Paese, ma che riescono a garantire servizi fondamentali e paritari per una qualità della vita accettabile per tutti.
Non crediamo si possa più accettare un’idea di struttura economica e sociale dove le plutocrazie finanziarie creano oligopoli destinati ad imporre le logiche del profitto che nulla lasciano alla libertà dei cittadini e alla giustizia sociale.
Il pericolo è quello di trasferire completamente in mano ad investitori privati non solo il sistema produttivo, ma anche i servizi fondamentali e il welfare.
Il problema è che, mentre il neoliberismo assegna appunto ai suoi manager la propaganda dell’affidamento delle infrastrutture, delle imprese e dei servizi italiani ai fondi d’investimento della finanza internazionale togliendo al Paese nel tempo ogni autonomia decisionale, non si vede tra le forze politiche e sociali di ciò che rimane della cosiddetta sinistra nessuna idea alternativa di organizzazione della società e di sviluppo economico capace di farci uscire dalla enorme crisi economica generata dalla pandemia del Covid-19.
Noi abbiamo bisogno d’immaginare e disegnare in un progetto organico un’Italia che, adeguatamente inserita in un’Europa sempre più solidale, sappia costruire un’economia sociale con un controllo democratico dei cittadini sulle decisioni nella produzione funzionali non ai bisogni fittizi e indotti dalla speculazione ma a quelli fondamentali per la conduzione di un’esistenza libera, sicura e felice nel rispetto della compatibilità con il territorio e con l’ambiente ma anche ovviamente con la giustizia sociale.
Non sappiamo come saranno organizzati gli “Stati generali” e ci auguriamo non si tratti di un ennesimo strumento di distrazione di massa.
Auspichiamo francamente che riesca a passare il disegno di un Paese che sia capace di programmare una rinascita piena sul piano di un’antropologia dove non l’economia, ma la persona sia al centro dell’organizzazione sociale.
C’è una popolazione prostrata dai lutti, dalla pandemia e dalla crisi.
Di fronte a tale situazione o si capisce che c’è necessità di una partecipazione collettiva alla ricostruzione del tessuto economico e si realizzano sinergie solidali creando una società equa ed inclusiva o altrimenti si va tutti a fondo.
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