Radio Beatnik, frequenze e spiriti liberi
“Video Killed the Radio Star” cantavano i The Buggles nel ’79 (non a caso il primo videoclip passato da MTV America). Poi è arrivato il web, Youtube e i social network hanno in qualche modo ridefinito i canoni di fruizione dei contenuti di intrattenimento e lo streaming ha permesso di completare una rivoluzione che vede, sempre più spesso, la nascita di esperienze (più o meno fai da te) a metà tra editoria digitale e podcasting.
Anche il Circolo Letterario Beatnik ha deciso di dar voce alle tante anime creative che lo compongono con “Radio Beatnik”, un esperimento di radio/podcast libero ed indipendente nelle modalità e nei contenuti che ha esordito con successo sul web e che, recentemente, ha addirittura portato a dialogare insieme Bruno Casini, autore del libro “New wave a Firenze – anni in movimento”, l’artista Cesare Pergola, protagonista del movimento artistico fiorentino degli anni ’80 e Ghigo Renzulli, storico chitarrista dei Litfiba, in una puntata tutta dedicata alla New Wave. E da qualche giorno la trovate anche nel palinsesto di Gemini – Network Radio Indipendenti.
Per capire la genesi e la direzione intrapresa dal progetto, abbiamo intervistato Angela Del Gesso che del Beatnik è anima e corpo.
Partiamo semplicemente dall’inizio.
Radio Beatnik non è un mio progetto, ma è il risultato delle premesse del Beatnik, ovvero un luogo che non fosse finalizzato solo alla bevuta, ma anche orientato alla nascita di idee da portare avanti. Tra l’altro io non ero una fruitrice di radio e nemmeno sapevo cosa fossero i podcast. Poi, qualcuno che frequenta il locale mi ha proposto l’idea e ho accettato, abbiamo cercato di capire se ci fossero persone interessate e durante la prima riunione, in effetti, eravamo tanti.
Creativo sì, indipendente pure.
L’attitudine del Beatnik è molto chiara: strizza poco l’occhio alla commercializzazione e all’autopromozione. Quindi, dalla prima riunione c’è stata una scrematura spontanea, perché si era presentato chi voleva promuovere se stesso e i propri lavori, dal musicista al performer. Il gruppo attuale si è creato con quelli che sono rimasti. Un gruppo che mi piace tantissimo e del quale io non sono la coordinatrice, semplicemente c’è un’affinità di visione. Tutti hanno insistito tanto affinché la radio si chiamasse come il locale, proprio per dare un segnale di identità, in modo da non dover spiegare troppe cose, perché se ti proponi a Radio Beatnik di certo non puoi essere fascista.
Come vi dividete?
Siamo un collettivo alla pari formato da Cepuka Spleen, con il programma Vibe dedicato all’esplorazione dell’underground artistico, poi c’è Valerio Amedei che svolge maggiormente il ruolo di tecnico, ma spesso si esprime anche nei contenuti; Mauro Minervini, che porta avanti il suo programma di jazz, invece Michaela Antenucci e Silvano Mastrolonardo conducono Pilot, un programma dove parlano di cinema e io, visto che si divertivano molto, mi sono inserita con Disorder, il cui contenuto è più filosofico, ma senza troppi tecnicismi.
Il lockdown ha dato una spinta incredibile ai podcast e, più in generale, alla fruizione di contenuti multimediali.
Sì, è vero. Noi siamo partiti da febbraio. La scelta del podcast è momentanea, nata dalla volontà di fare un po’ di rodaggio, per vedere se il gruppo funziona e immaginare degli investimenti futuri. Finora siamo molto uniti e abbiamo un’affinità a livello etico, che si traduce in grande rispetto verso l’altro. Iniziamo adesso ad avere anche una progettualità lungimirante, ci interfacciamo con realtà nazionali, stiamo cercando di costruire dei network con altre realtà indipendenti e per il momento sta andando tutto bene.
Capitolo copyright: molte esperienze similari spesso devono arrendersi proprio per motivi legati al diritto d’autore.
Abbiamo un contratto SIAE. Anche se malvolentieri, ma andava fatto. Tra l’altro, è il costo più ingente da sostenere. Purtroppo, il costo per una webradio è alto.
C’è qualche forma di finanziamento per far fronte alle spese?
Ci autofinanziamo, abbiamo deciso di non monetizzare. Avremmo potuto farlo anche attraverso la piattaforma Spreaker, che ci dà questa possibilità; gli ascolti iniziano a essere nel range delle migliaia, quindi, volendo, potremmo premere il tasto “monetizza”, ma non lo facciamo per una scelta politica. Vogliamo essere indipendenti; certo sarebbe più semplice e, in effetti, ci sono arrivate delle proposte in tal senso.
In pieno stile Beatnik. Raccontaci come siete ripartiti dopo questi mesi difficili, il settore della cultura ha patito (e sta patendo) enormi difficoltà.
E’ stato difficile, perché è stato annullato il fine aggregante di realtà come il Beatnik. Attualmente posso restare aperta soltanto con l’attività di bar rivolta ai soci, che rappresenta l’ultima cosa che mi interessa fare, legata all’esigenza di far rientrare le spese, ma non è molto gratificante. Gratificante è, invece, vedere che le persone stanno tornando e sto cercando di capire come muovermi per fare ancora cultura in questo periodo e forse qualche soluzione l’ho trovata. La mia più grande preoccupazione è che questa situazione si possa cronicizzare per i centri culturali, come è accaduto, per esempio, nel periodo del terrorismo.
Le abitudini, in tempi complicati, si modificano velocemente.
Sì. Aver visto lo spazio pubblico completamente annullato in questi due mesi mi ha preoccupato molto, perché lo spazio pubblico non è solo quello fisico, ma anche quello in cui nascono l’ideologia, l’idea e il pensiero critico e se le persone non si incontrano, non riescono a focalizzare delle situazioni. Il fatto che questa cosa non sia motivo di preoccupazione per chi governa, mi preoccupa ancora di più. Il fatto che il Beatnik sia un luogo poco commerciale e non ci siano categorie che lottano, forse lo fa sembrare uno spazio senza alcun tipo di utilità, quindi ho paura che ci sarà poco impegno per farlo ritornare come era. Ma rimaniamo anche per questo.
Mi pare di capire che dietro una forte volontà ci sia un’idea progettuale, una visione a lungo termine.
Sì, non ho mai guardato al guadagno immediato, proprio perché sono convinta che le persone si accorgano di chi porta avanti un lavoro con coerenza. Tra l’altro, in questo periodo storico, spero si riattivino tutte le situazioni autonome; a Campobasso iniziava ad esserci un bel fermento e con queste attività stavamo cercando una connessione per creare un circuito.
Un incubatore di buone pratiche e di confronto.
Sì, fondamentalmente è così. Questo era l’obiettivo. Il Beatnik è proprio l’espressione più lampante di questo meccanismo.
Tornando a Radio Beatnik, si tratta di un esperimento riuscito, con dei contenuti originali e la possibilità di approfondire temi o generi che non si conoscono. Avete pensato di potenziare le dirette?
Stiamo lavorando per proporre un format ibrido, che usi Radio Beatnik e il Beatnik insieme, con i limiti di potere occupare uno spazio fisico, viste le restrizioni. Ci sarà la possibilità di avere un pubblico contingentato, che può assistere alla performance.
Quante persone riesci a ospitare attualmente?
Tra tutte e due le stanze, forse una quindicina. Ma le persone poi non stanno ferme, quindi non c’è compatibilità tra le misure di distanziamento sociale e luoghi come il Beatnik.
Avete ancora attiva una campagna di crowdfunding.
Finora è andata molto molto bene e continuerà ad essere attiva fino ad agosto, anche se è partita nel momento in cui non sapevo se potessi riaprire; è andata al di là di ogni mia aspettativa, sia per la partecipazione e sia per la generosità di chi ha messo a disposizione i premi, quindi da quelli di Radio Beatnik che sono stati molto generosi, anche se non gli era dovuto, mettendo a disposizione una partecipazione al programma, al collettivo EsseEmme che ha messo a disposizione le fanzine e ancora, Lili Refrain, artista di caratura nazionale, che è stata generosissima donando trenta album; Maicol&Mirco, persona ed artista eccezionale, che ha fatto uno scarabocchio fuori commercio solo per il Beatnik che si può avere solo tramite la donazione, Alessandra Jevo con le sue illustrazioni “parlanti” e Graziano Pica “Balù” che ha messo a disposizione il suo primo disegno.
L’obiettivo fissato è realistico.
Dico una cosa che non andrà a mio vantaggio: spero tanto di non aver bisogno di raggiungere l’obiettivo e poter ricominciare a mantenere il Beatnik con la presenza fisica delle persone, con l’esperienza di comunità. Attualmente, con i soldi raccolti, quest’estate me la caverò; se in autunno non ci saranno altri problemi, dovrei stare tranquilla.
Cosa non ascolteremo mai su Radio Beatnik?
Siamo un gruppo che ha manifestato talmente tanto le proprie competenze, conoscenze e attitudini che ci potremmo permettere anche di passare Nino D’Angelo in tranquillità, senza creare equivoci sull’intenzione. Questo perché l’identità è molto chiara.
Immagino però ci sia un limite.
Ci siamo dati reciprocamente dei limiti attraverso una specie di manifesto, legati più alla questione della monetizzazione, allo scegliere sempre l’espressione libera, piuttosto che il compromesso; politicamente, poi, non sono concepibili messaggi di tipo xenofobo, omofobo ed escludenti in genere e ci siamo detti anche che non avremmo mai fatto un lavoro di propaganda partitica.
Avete in mente altre rubriche, magari riguardanti la letteratura o il teatro?
Ci fa sempre piacere ricevere proposte alternative, nuove.
Osserveremo l’evoluzione di Radio Beatnik da vicino allora. Ti ringrazio per la disponibilità.
Grazie a te.
Michele Colitti30 Posts
Nato a Campobasso nel 1985, ha studiato Media e Giornalismo presso l'Università "Cesare Alfieri" di Firenze. Collabora con la rivista "Il Bene Comune" dal 2010. Giornalista pubblicista dal 2014.
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