Il “sì” è solo il primo passo per rinnovare le istituzioni

di Corradino Guacci

La prima considerazione da fare, rispetto al taglio del numero dei parlamentari -quesito al quale saremo chiamati a rispondere il prossimo 20 e 21 settembre- è che lo stesso non vada visto come il traguardo di un percorso riformatore bensì una tappa, seppure importante, di un più complesso disegno innovatore.

Il prossimo passaggio dovrà necessariamente riguardare un “aggiustamento” della legge elettorale, proporzionale e con collegi ridisegnati, garantendo così la partecipazione democratica degli elettori e dei territori eliminando, al contempo, la vergogna delle liste bloccate. Non credo sia il numero a determinare la rappresentatività bensì la modalità con cui gli eletti vengono chiamati a questa importante funzione. Si deve tendere a ristabilire il primato della scelta da parte degli elettori e non delle segreterie di partito.

Così come il SI rappresenterà una spinta opportuna a modernizzare i Regolamenti delle Camere. Altrettanto non ritengo che la riduzione del numero attenti alla democrazia o, tanto meno, alla Costituzione. L’attuale misura non è stata decisa dai padri costituenti con la stesura della Carta, promulgata nel 1947, ma con la legge costituzionale n. 2 del 1963.

Una norma pensata e nata in un momento storico in cui la potestà legislativa, e quindi il conseguente carico di lavoro del Parlamento, non era condivisa con le assemblee regionali e comunitaria, nate dopo il 1970, che hanno aggiunto (per le materie di competenza) ben 884 legislatori le prime e 704 la seconda. In ultimo vorrei notare come la legge di riforma costituzionale che siamo chiamati a confermare sia stata votata, nell’ultima lettura alla Camera nell’ottobre del 2019, dalla stragrande maggioranza dell’assise, 553 voti a favore, 14 contrari e 2 astenuti.

Ora che a distanza di meno di un anno si stia palesando, per carità legittimamente, un fronte del no, fa pensare al riemergere di quell’istinto di autoconservazione sempre presente nella classe politica che ha fatto fallire, negli ultimi quaranta anni a partire dalla proposta Bozzi del 1983, ben sette analoghi tentativi presentati dalle forze politiche di centro, di destra e di sinistra. Sorge il dubbio che questo “ripensamento” altro non sia, per dirla con Bersani, che un “trappolone” teso all’attuale Governo, la cui caduta, in questo preciso momento storico, sarebbe sì una vera sventura per il nostro Paese.

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