Campobasso, città tentacolare

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Almeno nella mente del progettista del Piano Regolatore, non andato in porto, ing. Bequinot che intendeva salvaguardare le presenze agricole che si insinuavano nell’ambiente urbano, oggi ridotte al minimo, favorendo lo sviluppo lungo direttrici distanziate fra loro.

Rispetto alla dimensione usuale dei centri abitati molisani S. Croce di Magliano è una cittadina, avendo una popolazione di circa 5.000 abitanti, di una consistente stazza. Qui negli anni ’90 venne redatto il Piano Regolatore Generale ad opera di Pierluigi Cervellati (nome ben noto perché promotore del piano di recupero del centro storico di Bologna in qualità di assessore comunale, operazione che ha fatto scuola per l’impostazione adottata).

In tale PRG è stabilita l’istituzione intorno all’aggregato insediativo di una Zona, cioè, zona urbanistica, speciale nella quale non è ammessa l’edificabilità, una sorta di fascia di rispetto a protezione dell’agglomerato; non è un parco periferico, quindi ambito destinato ad usi ricreativi in quanto terreno agricolo e di proprietà privata e neanche può essere inteso quale polmone verde tout court finalizzato a ridurre il tasso di inquinamento della città perché S. Croce semplicemente non lo è.

Non ha un analogo scopo di quello delle Green Belt inglesi che servono ad impedire l’espansione degli insediamenti, ma forse il suo senso più profondo è quello di legare in maniera diretta lo spazio rurale con quello urbano senza la mediazione, per così dire, di frange edificate, non conta se la densità è bassissima, come solitamente avviene ai margini degli abitati, spesso in maniera incontrollata. Si definisce, attraverso tale striscia di terra libera da costruzioni, l’immagine del nucleo insediativo con nettezza. Quindi siamo di fronte ad un’espressione formale, non al frutto di una logica funzionale, in altri termini alla volontà di fissare i confini della polis, tema altamente simbolico.

Di personaggi di valore del mondo urbanistico che si sono occupati di realtà molisane ce ne sono diversi e tra questi vi è stato Bequinot incaricato del PRG di Campobasso. La linea di condotta del tecnico qui è stata diversa: invece di puntare a creare una cintura di spazi aperti che circonda la città ha pensato in modo diametralmente opposto che è di prevedere uno sviluppo non a cerchi concentrici, cioè un ampliamento dell’agglomerato uniforme per tutto il suo contorno, bensì di indirizzare la crescita lungo alcuni assi direttori e negli interstizi che si vengono a determinare tra tali direttrici di espansione confermare la destinazione ad uso agricolo.

Si hanno, perciò dei cunei di verde che penetrano in profondità nell’insieme edilizio portando luce, aria e vegetazione nei quartieri. In verità, non è propriamente una scelta libera del progettista poiché condizionata dall’andamento che aveva seguito nei decenni ’60 e ’70 l’estendersi del capoluogo regionale, quello di un ingrandimento che si attesta lungo la viabilità di collegamento con gli altri poli della regione. Detto differentemente, Bequinot ha fatto di necessità virtù il che equivale ad affermare che egli non ha demonizzato il modello di città tentacolare, classico figlio del “sacco edilizio” post-bellico.

Ma ne ha sfruttato delle potenzialità inespresse, quella dell’insinuarsi dei campi e orti negli interstizi della massa edificata. Cosa che vale la pena sottolineare esso è antitetico ad un’altra tendenza della speculazione edilizia che è lo schema a macchia d’olio della dilatazione urbana. Dunque, siamo in presenza di superfici vegetate che si inseriscono nell’agglomerazione urbanistica, occupando i vuoti lasciati sgombri dalle costruzioni, e questa la si può considerare la loro terminazione o, se si vuole, il loro inizio, mentre è più indeterminato stabilire l’altro capo di tali nastri semi naturali che sono gli ambiti coltivati; a volte è una superstrada, la Bifernina, a volte una lottizzazione di tipo produttivo-commerciale, quella di Colle delle Api, le quali rappresentano delle barriere che interrompono la continuità del territorio rurale.

Vi è, poi, ad assicurare il collegamento tra l’unità antropica e l’ambiente extraurbano un’ulteriore tipologia di elementi spaziali lineari che sono i corsi d’acqua, fondamentali nella definizione della rete ecologica che ricomprende Campobasso tenendo uniti fra di loro i Siti di Importanza Comunitaria di Montevairano e della Collina Monforte con quello della valle del Biferno. Il capoluogo della regione è interessato, accanto a quelli seminaturali e naturali, da una ulteriore, differente categoria di canali che l’attraversano, i quali hanno valenze culturali e sono i tratturi.

Mediante essi il nostro centro si trova a partecipare ad un sistema paesaggistico di scala vasta incontrandosi durante lo svolgimento del percorso tratturale una molteplicità di paesaggi, da quelli montani, in Abruzzo a quelli collinari, qui da noi, a quelli di pianura, nel Tavoliere. Le piste della transumanza sono, a tutti gli effetti, delle infrastrutture di comunicazione alla pari, sia pure pedonali, di quelle carrabili e ferroviarie, aventi la medesima dignità degli altri vettori di spostamento e, anzi, un maggior valore in termini di sostenibilità ambientale sia per il fatto che sono destinate alla mobilità dolce sia per l’assenza di opere fisiche.

Un campobassano ha l’agio di effettuare escursioni uscendo da casa con gli scarponi ai piedi. I tratturi, comunque, sono assimilabili di più ai corridoi seminaturali che alle direttrici viarie avendo una larghezza considerevole, ben 111 metri il Castel di Sangro – Lucera che tocca l’area urbanizzata alla Taverna del Cortile e 60 metri il Braccio Trasversale il quale è prima esterno, poi interno e, di nuovo esterno alla città; non è, perciò, un’asta, una linea, piuttosto una fettuccia di terreno (magari inglobante una strada al centro, la “via regia”) non proprio sottile.

Ricapitolando i suoli agrari che sono degli autentici infiltrati nella struttura urbanistica, non isolati, ma in collegamento con il resto della campagna (la Campagna Campobassana rinomata in passato per le sue produzioni orticole), i corpi idrici, dal Ruviato al Rivolo, componenti del sistema idrografico evidentemente, il quale per sua natura non è formato da parti separate, al contrario interconnesse, e, in ultimo, i tracciati tratturali i quali sono, in effetti, dei pascoli che si sviluppano longitudinalmente aventi perciò un certo spessore, sono le 3 componenti che legano l’agro con il polo urbano.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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