Campobasso città universitaria

di Francesco Manfredi-Selvaggi

La descrizione dei fabbricati che ospitano le nostre Università, cominciando dall’ultimo che, poi, si denomina secondo, mentre il primo Edificio Polifunzionale, destinato agli studi giuridici, ha assunto tale nome assai dopo la sua costruzione, per distinguerlo da quello successivo (che, appunto, è stato realizzato molto dopo).

Il 2° Edificio Polifunzionale dell’Università lo si può ascrivere alla categoria delle megastrutture alla quale appartengono anche i centri commerciali, il Pianeta e il Monforte, e che, però, la rappresenta meglio poiché di dimensioni maggiori. Esso viene ad essere un autentico segno territoriale che si impone in diversi scorci panoramici per la sua volumetria innanzitutto, nonostante che il progettista abbia tentato, in qualche modo, di mitigare l’impatto visivo attraverso la gradonatura del corpo di fabbrica.

Se tale era il suo intento il risultato, per questo aspetto che è quello della percezione, è stato modesto mentre lo sforzo ha avuto esiti migliori in riguardo all’ambiente in quanto l’organizzazione a gradoni della costruzione, limitando gli sbancamenti, ha mitigato l’incidenza sulla “componente suolo” (è il gergo usato nelle valutazioni di impatto ambientale). La morfologia acclive può, comunque, rivelarsi non un problema, bensì un’opportunità, secondo l’espressione vichiana, se il dislivello diventa stimolo, come nel nostro caso, per movimentare e, quindi, conferire vivacità alla composizione architettonica.

L’atteggiamento giusto dell’architetto attento al rispetto della conformazione del sito e, perciò, dell’identità dei luoghi, valore assoluto, è quello di assecondare l’andamento del terreno, cosa fattibile con una disposizione lineare dell’edificato nel senso della pendenza, cosa, di nuovo, che è quanto è stato fatto. Che sia un solo immobile e non più edifici cosa, sempre questa parola, che avrebbe permesso, di certo, un miglior adattamento alla situazione orografica della sede dell’Università, è una scelta progettuale che ha le sue buone ragioni.

Anzi, la sua buona ragione che è quella di concentrare in un unico intervento immobiliare l’insieme delle branche accademiche; a spingere in tale direzione è stata la Riforma Universitaria che ha sostituito la Facoltà con i Dipartimenti nei quali confluiscono le discipline relative ad un certo settore di studi, a prescindere dal Corso di Laurea in cui è attivato l’insegnamento afferente a quel campo disciplinare. Il ricondurre in un medesimo palazzo tutte le attività, sia di didattica che di ricerca, dell’ateneo ha quale presupposto che le percorrenze interne siano continue.

Ciò, peraltro, ha motivazioni anche connesse alla sostenibilità degli spostamenti, favorendo quelli pedonali attraverso i corridoi al chiuso e il porticato, per quanto detto prima, scalettato, all’esterno. È da aggiungere che il percorso a piedi prosegue in direzione del centro della città, anche se adesso all’aperto, mediante una passerella metallica che porta alla Biblioteca, autentica porta d’ingresso dal punto di vista formale dell’area universitaria, posta com’è, mediata da un piazzale, sul fronte strada al quale volge la facciata. Si fa notare che solamente la Biblioteca ha un rapporto diretto con la viabilità urbana, neanche il Rettorato che è all’esatto capo opposto del camminamento predetto.

È opportuno ora fare due brevi annotazioni a proposito, l’una, della Biblioteca e, l’altra, del Rettorato. Per quanto riguarda la prima il suo aspetto esteriore guardandola dalla viabilità cittadina al contorno, appena ci si allontana un po’, almeno per la parte che si sviluppa a quote più elevate di tale fabbricato, è fortemente caratterizzato dalla lunga, e ampia, falda della copertura; nella cultura architettonica occidentale il tetto non è destinato ad essere messo, per così dire, in mostra quantomeno da vicino e la prova illustre di ciò è il “cupolone” che il Maderna tese ad occultare alla vista dei frequentatori di piazza S. Pietro mediante l’innalzamento del prospetto principale della basilica.

Forse l’attribuzione di un disegno alla vasta distesa di tegole del tetto della Biblioteca, così come si fa nelle zone alpine dove le falde sono altrettanto inclinate e, di conseguenza, visibili dal basso avrebbe dato un senso all’immagine. In riguardo, invece, del Rettorato, il secondo caso che si è annunciato in precedenza, l’appunto è che per il Rettorato non si è scelto di costruire un corpo edilizio autonomo, cioè staccato dal resto, bensì si è optato per adibire a tale funzione il pezzo terminale del lungo 2° Edificio Polifunzionale.

Viene a costituire così la sua testata, occupando il lato corto dello stesso per intero il quale diviene la facciata del Rettorato. Come si conviene alla sede di una istituzione pubblica, peraltro la principale nel settore culturale della regione, è necessario che essa sia ben riconoscibile e, di conseguenza, dotata di un fronte a sé stante; il problema è il suo posizionamento distante dalla rete viaria urbana, poco visibile financo dai luoghi di frequentazione della cittadinanza prossimi, sia pure canali di traffico automobilistico come sono via Scardocchia e via Manzoni.

È una semplice curiosità, ma vale la pena notare che il Rettorato con la sua “faccia” rivolta verso la valle dello Scarafone sembra quasi che volga la “faccia” alla città la quale rimane alle spalle; si insiste, non è una suggestione che si propone, né ha alcun significato metaforico quanto riportato, ha esclusivamente un intento descrittivo, anche se, sicuramente, più rappresentativa per un Rettorato e quindi per l’ente Università sarebbe stata la sua collocazione al centro della città come si era ipotizzato al momento iniziale dell’insediamento universitario quando si è pensato di ubicare gli uffici del Rettore dentro gli spazi del Distretto Militare.

È ora di passare ad altro, ad altre componenti fisiche dell’ateneo a cominciare da quella più vicina al Polifunzionale, conosciuta come Facoltà di Agraria. Qui, oltre alle aule e agli studi dei professori, ambienti basilari di una università la cui finalità in una versione minimale, è l’insegnamento, vi sono laboratori che per le discipline scientifiche sono altrettanto fondamentali. Ciò le rende diverse dal resto dei campi disciplinari pretendendo appositi spazi.

Di qui la separatezza del fabbricato dedicato alle materie ambientali, agronomiche, ecc. Se quello di cui abbiamo parlato si denomina 2° Edificio Polifunzionale significa che vi è un 1°; questo che sta ad una certa distanza dal 2° è chiamato ancora Facoltà di Giurisprudenza ed ha un’inedita tipologia a corte ipogea e ad essa è affiancato un corpo circolare destinato a convegni. Vi è, infine, nel, con termine improprio, campus di via Scardocchia la palestra sorretta dall’alto da due coppie di archi inclinati che si toccano nel vertice, una struttura inusuale.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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