Macello, edificio buono per tutti gli usi
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Si parla di quello di Campobasso riconosciuto ufficialmente quale bene storico. Diventato canile per tanti anni, dal 2016 è stato oggetto di un finanziamento statale rientrante nel programma per la riqualificazione delle periferie. È un manufatto ad un solo piano che anche per questo non presenta vincoli distributivi essendo formato da una sola grande sala e ciò lo rende disponibile per qualsiasi destinazione d’uso. Ciò che non va modificato è l’aspetto esteriore perché di interesse architettonico.
Il sito non era proprio dei più felici per la destinazione a mattatoio. Una delle ragioni è che esso è caratterizzato dall’essere in pendenza, seppure non accentuata, ma, d’altronde, è difficile trovare a Campobasso che è un centro collinare spazi piani di una certa estensione. Comunque, tale luogo presenta il vantaggio di essere collocato lungo una delle principali strade extraurbane, la Statale Molesana, non distante dall’inizio dell’abitato e, quindi, in un ambito periferico che è, poi, l’ubicazione imposta da un decreto napoleonico del 1807 mirante a garantire l’igienicità degli agglomerati insediativi.
Tra i motivi che rendono questo posto scarsamente idoneo alla realizzazione di un macello vi è quello dell’assenza nelle vicinanze di un corso d’acqua in cui sversare i liquami prodotti dall’attività di macellazione i quali hanno un notevole carico inquinante. La determinazione di creare proprio qui il mattatoio, nonostante, lo si ripete, la morfologia del suolo non ideale e la mancanza di un corpo idrico recettore degli scarichi, è dipesa dal vantaggio di poter sfruttare, in parte perlomeno, il sedime livellato del rustico rimasto incompleto del gasometro; un’altra, questa, delle attrezzature urbane delle quali Campobasso si andava dotando nella seconda metà del XIX secolo.
Il gazometro, come si diceva allora, è stato impiantato nel 1871 in funzione del’illuminazione pubblica la quale, in realtà, era già presente in città, ma meno efficiente, dal 1809 con lampade ad olio, mentre il mattatoio venne inaugurato nel 1883. Seppure la localizzazione non era del tutto felice, il sito con il manufatto edilizio in cui avveniva la macellazione è stato confermato a lungo, molto oltre il secondo dopoguerra, nell’evoluzione urbanistica del capoluogo regionale.
Questa sede è stata considerata quella definitiva per il macello, tanto che l’Istituto Zooprofilattico Caporale di Teramo in prossimità ha costruito la sua sezione molisana; la presenza di quest’ultima che svolge funzioni di controllo sanitario degli animali, compreso quelli destinati ad essere macellati, rivela l’attenzione cresciuta verso la qualità delle carni dal punto di vista della sicurezza alimentare, compito quello dell’esame della sanità delle bestie di allevamento che agli inizi del ‘900 era affidato, per tutto il Molise, a soli 16 veterinari.
Le cose negli anni 70 del secolo scorso cambiano con il macello che diventa frigomacello, collocato in un’altra zona del territorio comunale, Selvapiana, che come dice il nome stesso è in piano, situazione morfologica migliore per gli impianti produttivi e di servizio in genere e, pure, per un mattatoio perché sono strutture assai estese planimetricamente. Infatti accanto al fabbricato che al suo interno non ammette sfalsamenti di livelli richiedendo una superficie di lavorazione continua, ci sono le parti esterne le quali anch’esse, specie quelle destinate alla sosta dei capi di bestiame che è della durata di un giorno intero, devono essere pianeggianti in modo da evitare condizioni di stress, di disagio, obbligando gli stessi a muoversi su terreno in pendenza il che non favorisce il riposo e quindi fatto capace di influire negativamente sul livello qualitativo delle carni del capo macellato.
Le dimensioni spaziali dell’intorno devono essere ampie, e per quanto possibile pianeggianti, per poter distanziare fra loro gli animali, suddividendoli per specie e confinandoli in box; in aggiunta occorrono locali per gli uffici e slarghi per la movimentazione delle merci. Vicino al macello solitamente si trova il mercato del bestiame dove il macellaio sceglie e acquista gli animali: nella storica locazione del mattatoio nella “capitale” della provincia è ridotto al minimo data l’esiguità di terreno disponibile e, del resto, la bozza di piano regolatore cittadino lo prevedeva lì dove ora c’è piazza della Vittoria, un lembo di terra, si noti, di pianura.
Il disegno pianificatorio del 1876 di cui stiamo parlando lo indica con la denominazione che si usava in quel tempo di Foro Boario il quale, tante volte, si riduce nonostante la dicitura aulia a un recinto circolare o ovale protetto da alberature al contorno. Il mercato ha cadenza giornaliera ovvero settimanale, mentre le fiere si svolgono con minor frequenza, una, due ai tempi della transumanza e raramente si ha una ricorrenza superiore. Il Frigomacello, oggi chiuso, è non distante dai padiglioni della Fiera che sta a Fossato Cupo, anch’essa se non chiusa purtroppo in un momento, assai lungo, di stasi della programmazione degli eventi, fiera che non è stata pensata per il commercio del bestiame, ma il termine ne evoca lo svolgimento in passato, probabilmente altrove.
Non molto distante, però, da un macello la cui localizzazione a Campobasso per questo aspetto si rivela inadeguata non essendoci nei paraggi un’area sufficientemente grande per le esposizioni zootecniche; è necessario che non siano lontani fra loro il mattatoio e la fiera in quanto è abbastanza oneroso il trasferimento degli animali vivi. È più facile trasportare la carne depezzata. Nonostante ciò non si costruiscono macelli presso gli allevamenti, se non raramente, perché i privati non garantiscono il possesso dei macchinari adatti, con tecnologie avanzate, la macellazione essendo un comparto che ha a che fare tanto con il benessere umano, quello dei consumatori, quanto con quello animale, per ridurre le sofferenze per le bestie.
Il macello in città ha il vantaggio, inoltre, di essere a contatto con il luogo del consumo, data la concentrazione della popolazione. Non bisogna trascurare, in aggiunta, che Campobasso aveva una spiccata vocazione artigianale la quale si alimentava pure delle materie prime locali, tra cui vi erano i sottoprodotti della macellazione. L’odierna via Marconi si chiamava via XX Settembre e prima via dei Bottai e prima ancora via delle Concerie perché vi si lavoravano le pelli, lavorazione insalubre e perciò relegata al di fuori delle mura, mentre a Porta Napoli, via Duca D’Aosta, vi era la “saponera” che trattava i grassi delle carcasse per farne appunto sapone. Infine, il macello figurativamente non si presenta quale mero manufatto di servizio, bensì ha caratteri architettonici, la finestra tonda in specie, della tradizione illuminista.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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