L’impari lotta tra vecchio e nuovo borgo a Campobasso
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Il centro storico per un certo tempo, prima della definitiva esautorazione dalle funzioni direzionali che si può datare agli inizi del secolo scorso, ha dato segnali di resilienza. Ne illustriamo un paio.
Nei decenni finali del XIX secolo era ormai avvenuto il declassamento del borgo medioevale da cuore della città ad un semplice quartiere urbano con funzione semplicemente residenziale e non più direzionale, ma nonostante ciò non aveva ancora perso del tutto la sua aura essendo ancora forte il suo valore identitario. La dimostrazione ne è, forzando un po’ i fatti e forzando soprattutto la lettura della planimetria cittadina come vedremo subito, la circostanza che la stazione ferroviaria nata proprio in quel periodo lì si collega in maniera diretta con il centro storico invece che con il Borgo Murattiano.
Infatti per raggiungere il nucleo antico il percorso è pressoché rettilineo salvo quella lieve deviazione che, finita via Veneto, compie a piazza Cesare Battisti per immettersi in via Ferrari che è la prosecuzione di via Cannavina, l’arteria principale dell’abitato originario dove vi è il palazzo feudale e che termina nell’unica piazza presente all’interno delle mura, piazza S. Leonardo con l’omonima chiesa. L’itinerario da seguire per arrivare dallo scalo dei treni all’espansione fuori le mura è abbastanza articolato, seppure non complicato, va detto, dovendosi cambiare diverse volte direzione, prima via Cavour complanare con i binari, poi Corso Bucci ad essa perpendicolare il quale immette nel reticolo viario del Nuovo Borgo disegnato da B. Musenga.
Un precetto dei teorici dell’urbanistica, una scienza che si afferma contemporaneamente al prendere forma della città moderna, quella in cui i canali di circolazione assumono un peso rilevante (i boulevards di Hausmann a Parigi), è quello della predisposizione di un asse di comunicazione diretto, dritto tra la stazione e la parte centrale dell’agglomerato insediativo; ciò in ossequio alla valenza primaria attribuita alla mobilità tra le varie località, in quell’epoca su ferro non essendo ancora entrati nell’era dell’automobile in cui, peraltro, gli spostamenti diventeranno sempre più la cifra distintiva della civiltà.
Per tale assenza di una direttrice di percorrenza immediata tra il polo in cui sono concentrate le attività pubbliche, Municipio, Prefettura, ecc. e la stazione Campobasso costituisce un’anomalia, resistendo, lo si è visto all’inizio, la fatale attrazione per l’aggregato urbanistico su cui dominò Cola di Monforte. Che la zona sorta nel lontano medioevo sia stata capace di influenzare lo sviluppo urbanistico successivo è attestato non unicamente dal rapporto che ha instaurato tramite un tragitto quasi rettilineo con lo scalo ferroviario, ma pure dall’addensarsi di costruzioni a fini abitativi lungo la sequenza viaria che va da via Marconi a via Orefici e a un pezzo di viale del Castello la quale occupa il pomerio, quello spazio che va lasciato vuoto intorno alle murazioni.
Non ci si vuole allontanare troppo dal vecchio centro perché ancora per oltre mezzo secolo, dal varo del Borgo Murattiano agli inizi dell’800 fino alla edificazione delle sedi delle rinnovate istituzioni locali, provinciali e statali dopo l’Unità d’Italia, qui erano rimasti i servizi comunitari essenziali, prima della sua esautorazione definitiva dalla vita cittadina. Certo, non si sarebbero realizzate case dirimpetto ad una cerchia muraria, non sarebbe stato piacevole vedere dalle proprie finestre una muraglia che in quanto a scopo militare doveva essere sicuramente di fattura austera, non un bel vedere, ma per fortuna di coloro che ci andarono ad abitare, i quali altrimenti non ci sarebbero andati, la situazione non era poi quella del tempo del Conte Cola.
Sul perimetro della fortificazione urbica, sfruttando le sue possenti fondazioni, impostate alla quota delle cavità sotterranee che sono la singolarità del nucleo originario del capoluogo di regione, e parzialmente la cortina edilizia della quale viene rispettata l’altezza per cui la linea di coronamento è uniforme come si conviene ad un bastione difensivo (le truppe devono potersi spostare velocemente da un punto all’altro degli spalti, i gradini avrebbero rallentato la corsa), si svilupperà un fronte edificato le cui aperture finestrate denunciano la avvenuta trasformazione d’uso, da manufatto guerresco a opera civile.
I baluardi a protezione dell’abitato in precedenza erano stati un motivo d’orgoglio per la cittadinanza, ma venute meno le esigenze per cui furono eretti, venne meno anche la loro manutenzione per cui progressivamente si ridussero allo stato di rudere. I lacerti di muro sbrecciato ledevano il decoro urbano, perciò, fu favorito il riutilizzo quali pareti di abitazione, salvaguardando esclusivamente, per la carica simbolica che si portano dietro, le porte e le torri, le quali, che sono in numero di 6, sono diventate l’emblema della “capitale” del Molise.
A invogliare alla realizzazione di blocchi edilizi ai margini del semi–anello stradale che contorna il recinto fortificato (semi-Ring si direbbe a Vienna dove i viali, appunto viali e non strade normali, inglobano oltre alla fascia pomeriale il sedime delle mura avendole rase al suolo) è proprio la presenza di una infrastruttura viaria di sezione adeguata sia per i mezzi di trasporto moderni, il cui transito è impedito dalle frequenti scalinate del nucleo antico, sia per garantire luce e aria all’interno delle stanze, negata nell’angusta viabilità del borgo medioevale, come prescrivevano i medici igienisti.
È da evidenziare che la larghezza di questo percorso semi-anulare, con l’eccezione della strettoia di via Orefici in coincidenza con l’intersezione di via Isernia, consente di mantenere “aperte” le viste prospettiche “chiuse” dallo Sky-line, si dice oggi, della barriera muraria che si conserva quale sagoma, quale contorno, si diceva una volta; è questo un carattere figurativo fondamentale delle città, un segno distintivo dell’intero insieme urbanistico, assai leggibile in virtù dell’ampiezza e continuità dei tracciati stradali tangenti i confini del centro storico che sono, lo si ripete, via Marconi, via Orefici e viale del Castello, dei vuoti, lineari, occupati un paio di centinaia di anni fa da lavorazioni all’aperto, quindi saltuarie, dalle botteghe, rispettivamente, dei Conciai, dei Bottai, dei Ferrari.
Francesco Manfredi Selvaggi633 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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