Il grande inganno del linguaggio

di William Mussini

Pasolini ed il suo discorso “Lo scandalo radicale”

Ipotizzando di guardare il mondo attuale da una prospettiva privilegiata come quella di colui che non è compromesso col mondo ed ha ancora la capacità di analisi e di critica disinteressata, potremmo certamente osservare che il grande inganno parte dal linguaggio; chi è padrone del linguaggio, è padrone del discorso; chi è padrone del discorso, è padrone del mondo, perché il mondo crede a ciò che viene detto e ripetuto, non a ciò che è vero.

Se la nostra bellissima Italia fosse un essere vivente fornito di autocoscienza, se fosse dotata quindi di un cervello, potremmo dire che, oggi più che mai, essa sarebbe afflitta da un cancro all’area di Broca, quella connessa all’area di Wernicke e localizzata sul lobo frontale dell’emisfero cerebrale dominante.

L’area della corteccia celebrare in questione è la regione nota per avere un ruolo chiave nella produzione e comprensione del linguaggio.

Osserviamo anche che, ciò che consideriamo attualmente come il linguaggio dell’ufficialità, di fatto, è quello utilizzato dai grandi ingannatori della comunicazione: i media di Stato, i giornali al soldo di finanziatori interessati, i politici al servizio di più o meno noti apparati di potere. Il linguaggio taroccato dell’ufficialità si diffonde appunto come una malattia pervadendo la società in maniera metastatica.

Fatti i dovuti distinguo e fatte salve le rare menti libere sempre più emarginate dal conformismo di Stato, osserviamo che, il cancro alimentato dai grandi comunicatori ed informatori del sistema (nome abusato ma sempre meno anacronistico), si diffonde pernicioso grazie anche ai luoghi comuni, alle suggestioni, alle consuetudini ed agli usi attecchiti da decenni, nella maggioranza dei cervelli passivi dei cittadini, siano essi, i cittadini, dotati di un insufficiente quoziente di capacità cognitiva, siano essi piuttosto, quelli che si fregiano di appartenere alla maggioranza dei normodotati o alla rarissima specie degli intellettuali, opinionisti, divulgatori o esperti di esperti più esperti di altri esperti.

Il linguaggio taroccato, condiviso dai padroni del discorso e sposato per imitazione dalla maggioranza, è costruito con sostantivi-truffa, verbi-truffa e aggettivi-truffa: sono falsificate la sintassi come anche l’estetica formale di chi espone in video o sui giornali, pareri, notizie e informazioni. Attraverso la truffa dialettica e comportamentale dei nuovi imbonitori sponsorizzati, nella stragrande maggioranza dei casi, dalle televisioni e dalla stampa italiane, si veicolano le stesse medesime nenie moraleggianti. Artisti, comici, giornalisti, speakers radiofonici e televisivi, scienziati da salotto, tutti o quasi tutti sono allegramente allineati col discorso dei padroni di turno, per viltà, per convenienza, per semplice ignoranza.

Ed ecco che, nello stordimento ridanciano di un paese diviso, assistiamo in prima serata sulle reti di Stato, ad esempio, al teatrino ecumenico e borghese dei conduttori di San Remo, strapagati e mai sazi, fra una pubblicità e l’altra, fra una idiozia sostenuta con sfacciataggine ed una battuta deprimente.

Ed ecco che, tutto l’oltraggio alla verità di un regime mediatico assolutista, lo cogliamo nel gesto canzonatorio di un comico che ironizza sugli effetti nocivi di farmaci spacciati per salvifici dai suoi mandanti, pagato con i soldi di contribuenti bellamente complici nella propria condizione di banali adulatori.

Ecco che, ad esempio, la parola fascista in TV, assume, nel corso di decenni, il ruolo di schiaffone dialettico buono per tutte le stagioni, preso in prestito a turno da interlocutori opposti, in maniera oramai trasversale, opportunistica ed ipocrita.

Questo utilizzo ipocrita delle parole come fascismo e per contro antifascismo fu ben evidenziato e spiegato nei suoi scritti più importanti che vanno dal 1962 al 1975 dal genio di Pierpaolo Pasolini, scomodo e sconveniente per una larga fetta di ben pensanti ideologizzati. Pasolini, già negli anni della contestazione, mette in guardia da una nuova forma di fascismo, più subdola e insidiosa, intesa «come normalità, come codificazione del fondo brutalmente egoista di una società».

Nel discorso mai letto in pubblico da Pasolini dal titolo “Lo scandalo radicale” (volutamente dimenticato da certa sinistra radical) l’intellettuale corsaro mette in luce tutte le contraddizioni ed i potenziali pericoli di una deriva autoritaria della compagine progressista del paese. Il discorso fu esposto due giorni dopo il suo assassinio dall’allora segretario del partito radicale Marco Pannella, al Congresso Radicale del 1975. In sostanza “Lo scandalo radicale” fece riferimento ad un nuovo fascismo tecnico chiamato antifascismo.

Pasolini fece riferimento ad un irrigidimento di rapporti sociali resi immodificabili «da un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili». A guardare l’Italia dei democratici progressisti odierni, non si può fare altro che rendergli merito e rimpiangere quel Pasolini più “profetico” che mai.

In questo stralcio del discorso possiamo cogliere il fulcro del suo pensiero dissenziente: “Tutti sanno che gli “sfruttatori” quando (attraverso gli “sfruttati”) producono merce, producono in realtà umanità (rapporti sociali). Gli “sfruttatori” della seconda rivoluzione industriale (chiamata altrimenti consumismo: cioè grande quantità, beni superflui, funzione edonistica) producono nuova merce: sicché producono nuova umanità (nuovi rapporti sociali).

Ora, durante i due secoli circa della sua storia, la prima rivoluzione industriale ha prodotto sempre rapporti sociali modificabili. La prova? La prova è data dalla sostanziale certezza della modificabilità dei rapporti sociali in coloro che lottavano in nome dell’alterità rivoluzionaria. Essi non hanno mai opposto all’economia e alla cultura del capitalismo un’alternativa, ma, appunto, un’alterità.

Alterità che avrebbe dovuto modificare radicalmente i rapporti sociali esistenti: ossia, detta antropologicamente, la cultura esistente. In fondo il “rapporto sociale” che si incarnava nel rapporto tra servo della gleba e feudatario, non era poi molto diverso da quello che si incarnava nel rapporto tra operaio e padrone dell’industria: e comunque si tratta di “rapporti sociali” che si sono dimostrati ugualmente modificabili.

Ma se la seconda rivoluzione industriale – attraverso le nuove immense possibilità che si è data – producesse da ora in poi dei “rapporti sociali” immodificabili? Questa è la grande e forse tragica domanda che oggi va posta. E questo è in definitiva il senso della borghesizzazione totale che si sta verificando in tutti i paesi: definitivamente nei grandi paesi capitalistici, drammaticamente in Italia. […]

Va aggiunto che il consumismo può creare dei “rapporti sociali” immodificabili, sia creando, nel caso peggiore, al posto del vecchio clericofascismo un nuovo tecnofascismo (che potrebbe comunque realizzarsi solo a patto di chiamarsi antifascismo), sia, com’è ormai più probabile, creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili.

In ambedue i casi lo spazio per una reale alterità rivoluzionaria verrebbe ristretto all’utopia o al ricordo: riducendo quindi la funzione dei partiti marxisti ad una funzione socialdemocratica, sia pure, dal punto di vista storico, completamente nuova”.

Il nuovo tecnofascismo di cui parlava Pasolini, si manifesta oggi nella sua forma più ambigua, in quel pensiero politico sfacciatamente atlantista, europeista e filo globalista espresso da ciò che rimane dei cosiddetti partiti della sinistra. Tuttavia, in linea generale, il linguaggio della politica tutta, sia che si origini da partiti liberali, di destra, di centro o di sinistra, nel momento in cui assume il ruolo di organismo governativo, adotta, da decenni, il medesimo stratagemma dialettico che comunemente identifichiamo come del “politically correct”.

È chiaro a pochi che, evidentemente, la funzione politica dei partiti tradizionalmente intesi, sia sprofondata nella melassa dialettica che predilige l’estetica accattivante di slogan, epiteti, luoghi comuni e stereotipi funzionali ad una propaganda trasversale. Sono oggi definitivamente tramontate le figure degli statisti o degli uomini mossi da vocazione politica altruistica, lasciando la scena a coloro i quali si adoperano per diffondere il verbo dei neo-sofisti da talkshow.

In sostituzione delle vecchie e desuete ideologie novecentesche, rimangono goffi e tediosi riferimenti agli opposti estremismi, tirati a turno, fuori dal cilindro dei prestigiatori mediatici, quando sono funzionali al potere ed al conseguimento del consenso popolare.

William Mussini76 Posts

Creativo, autore, regista cinematografico e teatrale. Libertario responsabile e attivista del pensiero critico. Ha all'attivo un lungometraggio, numerosi cortometraggi premiati in festival Internazionali, diversi documentari inerenti problematiche storiche, sociali e di promozione culturale. Da sempre appassionato di filosofia, cinema e letteratura. Attualmente impegnato come regista nella società cinematografica e teatrale INCAS produzioni di Campobasso.

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