Il caso Frattura-Petescia e i silenzi che non fanno crescere questa regione
di Giovanni Petta
Il 17 dicembre 2014, l’ex presidente della giunta regionale, Frattura, e il suo avvocato presentarono una denuncia contro la direttrice di Telemolise, Petescia, e il magistrato Papa. Secondo i denuncianti, durante una cena avvenuta quattordici mesi prima, la giornalista avrebbe cercato di estorcere 400.000 euro per la propria testata e in cambio il magistrato Papa non avrebbe dato accelerate all’inchiesta Biocom che stava conducendo proprio nei confronti del presidente Frattura.
Al processo si costituirono parte civile sia la Presidenza del consiglio dei ministri e sia la Regione Molise.
A ottobre del 2017, i due accusati vennero assolti dal Tribunale di Bari. L’assoluzione fu piena: si riuscì a dimostrare che non c’era stata alcuna cena né altre occasioni per mettere in atto l’estorsione immaginata. La sentenza venne poi confermata in Appello.
Pochi giorni fa, la Procura di Bari ha chiesto il rinvio a giudizio di Frattura e Di Pardo, per il reato di calunnia continuata in concorso, e lunedì prossimo i due accusatori, ora accusati, terranno una conferenza stampa per spiegare quanto accaduto e, probabilmente, per difendersi.
Ho provato a cercare, in questi giorni, da ogni parte, uno straccio di dichiarazione di un politico di maggioranza o di opposizione. Ho provato a cercare un editoriale, un corsivo, una lettera inviata a una testata giornalistica da un intellettuale, un osservatore della politica, un semplice cittadino. Non ho trovato alcunché. Come se una vicenda del genere riguardasse solo i protagonisti.
Forse viene fuori proprio in queste occasioni l’anima vera del molisano che, forse in misura maggiore dell’italiano medio, tiene famiglia. Troppo potenti i protagonisti per dire qualcosa a favore o contro l’una o l’altra parte: la giornalista più potente della regione, un magistrato, un governatore. Chi ce lo fa fare a esporci?
Eppure, se fossero state vere le accuse di Frattura e Di Pardo – e, invece, non lo sono, lo dice un Tribunale – avremmo avuto il potere giudiziario che insieme al quarto potere provava a portare illegalità all’interno del potere legislativo. Se saranno vere le nuove accuse della Procura di Bari, invece, avremo la conferma che un politico, per difendersi dalle indagini a suo carico, mente e mente sapendo di mentire. Cosa c’è di peggio di tutto questo per la democrazia, per il bene comune?
Una cosa è certa per ora: il Tribunale di Bari ha cancellato la prima parte delle preoccupazioni riportate sopra, cioè nessun giornalista e nessun magistrato hanno provato a estorcere denaro alla politica. Bisogna attendere ora, per il rispetto che si deve a ogni persona indagata, l’esito del secondo procedimento, quello nato conseguentemente al primo.
Di tutto ciò, i giornalisti hanno dato solo notizia e i politici tacciono. Ad onor del vero, quando ci fu l’assoluzione in appello di Papa e Petescia, il Movimento Cinque Stelle presentò una mozione di sfiducia all’allora presidente della Regione Frattura. Ci fu anche un comunicato personale di Michele Iorio e un attacco di tutti i coordinatori del centro-destra a Frattura.
Oggi, tacciono tutti. Forse perché devono ancora parlare Frattura e il suo avvocato (lunedì) e, soprattutto, perché devono ancora parlare i giudici. Però che tristezza questa sinistra così prona, volutamente distratta, che gioca a nascondino su tutto. Sono sicuro che privatamente i leader della sinistra hanno fatto arrivare a Manuela Petescia le loro felicitazioni ma in pubblico rimangono guardinghi a proteggere loro stessi. Così i sindacati. Eppure si sta parlando di Democrazia, di marcio, qualora venisse accertato, nel cuore delle nostre istituzioni regionali!
Ma siamo abituati a tutto ciò. Un mese fa, per esempio, in un’intervista, il vescovo di Isernia dichiarava che ci fu un periodo, all’inizio del mandato, in cui il governatore Toma ricopriva un incarico incompatibile con la carica di presidente della Regione. La sinistra ha fatto finta di non sapere, di non aver letto. Non attaccano il leader della destra, figuriamoci se dicono qualcosa su chi è stato, anche se in maniera discontinua, dalla loro parte.
Su questa vicenda, parallelamente ai procedimenti giudiziari, bisognerebbe invece aprire una discussione. Una discussione politica, solo politica, per migliorare la qualità della vita democratica della nostra regione. Per capire come possa accadere di subire una persecuzione giudiziaria e poi scoprire che non c’erano gli elementi perché tale persecuzione venisse messa in atto. Per capire il modo in cui i nostri partiti scelgono i candidati ai posti di comando e di responsabilità. Per comprendere se è il caso di far studiare l’educazione civica ai nostri ragazzi e poi preparare per loro un mondo, quello che sta fuori dalle aule, che non ha niente a che vedere con le “favolette” che si raccontano a scuola. Per ora, invece, solo silenzio. Ed è un silenzio che sa di degrado della politica e della democrazia. Che sottolinea la trascuratezza con cui, soprattutto in questa regione, trattiamo le regole del nostro vivere insieme.
Giovanni Petta76 Posts
È nato nel 1965 in Molise. Ha pubblicato le raccolte poetiche «Sguardi» (1987), «Millennio a venire» (1998) e «A» (2016); i romanzi «Acqua» (2017), «Cinque» (2017) e «Terra» (2021) ; il saggio giornalistico «L'Italia delle regioni, il Molise dei ricorsi» (2001) e, con lo pseudonimo di Rossano Turzo, «TurzoTen« (2011) e «TurzoTime» (2016). Allievo di Mogol, ha inciso «Non crescere mai» (1993), «Trema terra trema cuore» (single, 2003), «Il bivio di Sessano» (2012). Ha diretto le testate «Piazzaregione» e «L'interruttore». Ha coordinato l'inserto molisano de «Il Tempo».
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