A Castelpetroso sul set della vita di Maria
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Lungo la via Matris appena alle spalle del santuario sono state ricostruite 7 scene dell’esistenza terrena della Madonna con l’intento di stimolare riflessioni religiose e allo stesso tempo di godere del bellissimo paesaggio.
Ci sono tante cose da dire sulla Via Matris di Castelpetroso, tanti sono gli spunti che essa offre in quanto tante sono le novità che introduce nel panorama perlomeno molisano delle opere a soggetto sacro. Il quadro è costituito da: i santuari (il principale è proprio quello di Castelpetroso la costruzione del quale è iniziata alla fine del 1800 e il completamento è avvenuto nel 1975 precedendo di poco l’ideazione della via Matris che ne costituisce un’appendice), le croci sulle cime delle montagne (sul vicino Monte Miletto, il più alto della regione), calvari (nell’ap-prossimativamente vicino Castropignano), edicole votive (una assai antica è nella borgata S. Felice della vicina S. Massimo), eremi (quello molto accorsato di S. Egidio della vicina Boiano), cappelle disseminate nell’agro (quella di località Confalone nella vicina Frosolone), tutte presenze che conferiscono un’impronta religiosa al territorio.
Tale processo di cristianizzazione dello spazio ebbe un’accelerazione con la Controriforma la quale puntò a rafforzare il sistema degli apparati di culto in cui si pratica la fede cattolica minacciata dalla Riforma protestante. A incrementare la visibilità di questo credo, a renderlo pervasivo vi sono, sta per finire il preambolo, pure le manifestazioni cultuali, quali le processioni, la Passione con la relativa Via Crucis, i presepi viventi, i pellegrinaggi e i percorsi devozionali, per quello dedicato alla Madonna si predispongono le Via Matris.
Per quanto riguarda queste ultime ce n’è una a Castelpetroso e un’altra nel capoluogo regionale. Quella di Castelpetroso è formata di 7 gruppi scultorei raffiguranti altrettanti episodi della vita di Maria venerata in questo sito, è appena alle spalle della Basilica Minore, quale Madonna Addolorata, uno dei suoi vari appellativi (gli altri sono Incoronata, Assunta, Immacolata, ecc.), dunque il tema è i Suoi 7 Dolori. È da notare, innanzitutto, che le statue sono fatte di una lega speciale, un materiale che richiama volutamente il bronzo.
Le superfici metalliche non sono colorabili, ben lo si sa, e le sculture bronzee perciò hanno colore bronzeo. Ciò, cioè l’assenza di colorazione contrasta con il realismo denunciato dalle fattezze, compresa la dimensione che è a scala 1:1, veristiche dei personaggi che compongono le differenti scene della storia della Madre di Dio; del resto, non sarebbe potuto essere altrimenti nel senso che stando all’aperto, esposte al sole e agli agenti atmosferici, le tinte applicate alle figure per renderle somiglianti agli esseri viventi si sarebbero, comunque, scolorite, minando la loro verosomiglianza.
In definitiva, il visitatore avverte un certo effetto di straneamento di fronte a queste riproduzioni delle vicende terrene della Madonna, da un lato la fisionomia dei protagonisti è realistica dall’altro lato per via della materia similmetallo essi appaiono irrealistici. Sempre rimanendo sulla questione della partecipazione emotiva dell’osservatore è da aggiungere che favoriscono l’immedesimazione nei “quadri viventi”, tableaux vivants, 2 cose inusuali nel campo della statuaria, l’una è quella dell’assenza di piedistallo, le statue poggiano sul terreno, come le persone normali che incontriamo per strada, l’altra è che esse stanno open-air, non racchiuse in una nicchia, a contatto diretto con chi passa.
Non è che in una chiesa non possano trovare posto insiemi scultorei, vedi la bella Ultima Cena nella bella chiesa di S. Emidio ad Agnone, è solo che lo spettatore rimane distante da essi. C’è pure da aggiungere che il bronzo e il marmo sono impiegati per la creazione di oggetti d’arte sacra di pregio, mentre il legno, la terracotta e la cartapesta sono utilizzati prevalentemente nella produzione artistica popolare; nel nostro caso la decisione di modellare le immagini con una sostanza che rimanda al bronzo non è dettata dalla volontà di conferire una maggiore dignità alla realizzazione figurativa quanto piuttosto al problema denunziato dell’esposizione alle intemperie.
Di aggiunta in aggiunta, c’è da aggiungere inoltre che siamo di fronte ad un programma ideativo unitario per cui i singoli momenti dell’esistenza terrena della Madonna, i Suoi travagli, non possono essere letti separatamente appartenendo ad un ciclo narrativo unico. A margine si rileva che per tale ragione, oltre che per l’inscindibilità dal contesto paesaggistico in cui sono inseriti non è pensabile, a differenza della statuaria classica, il trasferimento di singoli pezzi in un museo. L’operazione artistica condotta, si vuole dire, rientra nella “arte dei giardini”, il che beninteso non è sminuente e non nell’arte tout court.
È da aggiungere, proseguendo con le aggiunte, ma ora utilizziamo l’avverbio “infine”, che il progetto iconografico adottato è quello di seguire schemi iconografici consolidati se non canonici, siamo pur sempre di fronte ad una committenza ecclesiastica, si pensi alla Madonna con il Figlio morente il cui modello ispiratore è, alla lontana, la Pietà di Michelangelo, il che lascia poco spazio alla libertà espressiva dell’artista. Non c’è da aggiungere niente più e nonostante ciò proseguiamo.
La Via Matris sollecita tanto riflessioni ultraterrene quanto secolari che qui proviamo ad intrecciare fra loro: con le stampanti in 3D le opere d’arte sono destinate a non essere più “pezzi unici” poiché è facile farne delle repliche, le copie sono in resina come le statue della Via Matris, e tale serialità fa perdere loro l’alone sacrale da cui sono da sempre avvolte, sacrale nell’accezione anche di degno di venerazione quando si tratta di rappresentazioni delle divinità, sentimento che può peraltro scadere nell’idolatria. Gli antichi suddividevano le immagini pie in 2 categorie chiamate rispettivamente ad salutationem e ad memoriam, le prime che invitavano alla preghiera le seconde al ricordo di avvenimenti celesti. Quelle della Via Matris sono finalizzate a far rivivere le gesta della Madonna alle quali i fedeli devono ispirarsi, non alla contemplazione propriamente né estetica né mistica, non ci si rivolge a loro per una supplica, non è questo il loro ruolo, bensì è di tipo pedagogico la loro mission.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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