Il Purgatorio contemporaneo di Pier Paolo Giannubilo

Esce per Rizzoli «Incendio sul mare», il suo nuovo romanzo

“Incendio sul mare” di Pier Paolo Giannubilo – appena uscito per Rizzoli e presentato qualche giorno fa al Salone del Libro di Torino – è una vera sorpresa per chi conosce le opere precedenti dello scrittore campobassano ed era abituato e affascinato dal grigio scuro degli elementi di composizione, interni ed esterni, di personaggi, pagine e sentimenti.

Il nuovo romanzo si allontana dalle vertigini introspettive cupe, dagli spazi freddi e disumani di alcune ambientazioni, dalla ricerca vana, ma perpetrata ossessivamente, della ragione ontologica dell’esistenza del male. Si allontana da questi percorsi alti e difficili che avevano caratterizzato le opere del periodo precedente: opere diverse tra loro nell’oggetto e tenute insieme, stilisticamente, proprio dal grande lavoro di attenzione formale dello scrittore.

Se il contemporaneo “Annientare” di Michel Houellebecq si impernia sulla necessità di meravigliose menzogne, “Incendio sul mare” di Pier Paolo Giannubilo cerca con tutte le forze l’aria limpida delle verità. Se l’altrettanto coevo “Le vie dell’Eden”, di Eshkol Nevo, racconta le maschere che indossiamo quando ci troviamo a vivere situazioni difficili da accettare, il romanzo di Giannubilo insegue il disvelamento, necessita di pulizia anche nelle vicende più impegnative e complicate dell’esistenza. Se il Midwest narrato da Franzen in “Crossroads”, romanzo pubblicato meno di un anno fa, è un territorio, di spazio e d’anima, profondamente doloroso, il Medioriente d’Italia su cui si dispiegano le vicende di “Incendio sul mare”, le Tremiti, non è meno angoscioso e angosciante, non rivela traiettorie di vita meno difficili, non richiede minore consapevolezza e verità con se stessi nel percorso che porta al senso della propria esistenza.

Nel suo nuovo lavoro, Giannubilo è attento al lessico, alla puntualità dei termini; quelli che nominano fiori e arbusti isolani, quelli che servono per definire le nuove dimensioni digitali; quelli che sembrano rendere omaggio al repertorio lessicale di grandi scrittori del Novecento. Si pensi a Gadda. A Pizzuto. Ci sono persino alcuni preziosismi che non sono mai barocchi e che, invece, risplendono di rarità. Elegante e leggera, per esempio, la sostituzione di “balbettare” con “balbutire”.

Ma cosa accade di nuovo, che prima non accadeva nelle pagine di Giannubilo? Accade che c’è una luce, una speranza finalmente. E non è una costrizione religiosa, una imposizione di gioia che, proprio perché imposizione, piega e addolora. È una possibilità vera, umana, verosimile e reale. “Io credo nell’amore” cantava Lucio Dalla e spesso lo diceva nelle sue interviste. Nel romanzo di Giannubilo, che proprio nella casa tremitese del cantautore ha alcune delle sue scene più importanti, è l’amore a dare la possibilità di ascendere a una dimensione luminosa dell’esistenza, una dimensione che è quella della condivisione della quotidianità con la donna, o l’uomo, che si ama; della serenità che deriva dal lavoro fatto sul proprio passato; dell’equilibrio conseguente alla comprensione delle ragioni dell’altro. E nel lavorare su tali contenuti, la scrittura si fa più avvincente, appassionante, senza perdere quelle caratteristiche che la rendono scrittura letteraria di qualità.

L’ultimo romanzo di Paula Hawkins, uscito nel 2021, si apre con una mappa dei luoghi dove accadono i fatti narrati. Anche Giannubilo inserisce, in apertura del suo libro, una mappa delle Tremiti, il luogo dove si dispiegano gli accadimenti. Ed è sorprendente notare le altre coincidenze tra i due libri: il titolo (“Un fuoco che brucia dentro”, quello della Hawkins) o il fatto che il romanzo della scrittrice londinese sia ambientato nei dintorni del Regent’s Canal, proprio la stessa zona di Londra dove passeggia, per un attimo, anche il personaggio principale di Giannubilo. Coincidenze, traiettorie parallele con grandi narratori, che dimostrano quanto sia contemporaneo il mood percepito dal nostro scrittore, la capacità di respirare la stessa aria di altri narratori contemporanei nel tentativo di comprendere e decifrare un presente sempre più complesso, per certi versi illogico e per questo difficile da capire.

“Incendio sul mare” tiene insieme il mito, la tradizione e la contemporaneità. I personaggi si trovano a incrociare le loro esistenze nello spazio angusto delle Isole Tremiti, condizionati – gli indigeni come gli esterni – dalle abitudini, dalle tradizioni, dai modi di pensare e di giudicare che in quel territorio così piccolo si sono cristallizzati nel corso dei secoli. E su questo terreno di fenomeni antropologici immodificabili e senza tempo va a depositarsi il nostos di Riccardo Manes, il protagonista, che torna a casa dopo vent’anni trascorsi all’estero per un lavoro nel settore della lotta ai crimini on-line, un lavoro stressante che lo ha reso ricco. Vent’anni lontano da casa per poi tornare nelle isole di Diomede e delle diomedee.

Le Tremiti devono molto a questo libro. Le isole non sono rappresentate in un’immagine stereotipata da cartolina, nella posa solita veicolata dalle trasmissioni televisive del dopopranzo. Le descrizioni sono selvagge, selvatiche e la bellezza riportata dalla pagina è vera, genuina. I fiori e gli arbusti, si diceva, ma anche i venti e l’incresparsi delle onde, le voci degli abitanti e il loro vivere una dimensione insolita, scomoda e invidiata. E poi il mito e la storia. Tutto ciò, tutte queste informazioni, sono sapientemente diluite nella narrazione. Si impara leggendo di una storia d’amore e mai in maniera didascalica.

Del libro di Giannubilo emozionano soprattutto le debolezze e le fragilità degli umani. Cose che in passato lo scrittore non avrebbe perdonato ai suoi personaggi e che invece qui vengono osservate con maggiore indulgenza; senza atti di eccessiva misericordia ma senza l’urlo dello scandalo né la richiesta dell’allontanamento dal consesso sociale. Gli uomini sono descritti nei loro errori quotidiani, spesso conseguenze di ferite altrettanto gravi, e vengono condannati con severità. Ma la condanna non è mai eterna, non è mai all’Inferno. Anche per gli errori più terribili e disumani c’è un Purgatorio che attende. E attende qui sulla Terra, nella dimensione umana. Non certo da altre parti.

Ogni incapacità produce una conseguenza dolorosa, ogni pigrizia una sofferenza futura: «Le cose andavano di male in peggio, dovevo solo correre ai ripari prima che fosse troppo tardi. Andarle vicino e dirle nel tono più amorevole: Domani ce ne andiamo in città, studiamo le foto degli appartamenti dell’agenzia e prendiamo quello che ci piace di più (…) Dovevo fare solo questo, ma non mi schiodai da lì…» Ma questo è il meno. Questi sono errori statici, quelli scaturiti dall’immobilità e dalla pigrizia. Le azioni, invece, possono essere ancora più deleterie perché «nella vita, il peggio che ti possa capitare non sono guai e dolori, ma coprirti di ridicolo».

E nel corso di vite così labili e pericolose, diventa una fortuna l’incontro con la persona giusta: «Mentre i suoi ricci mi solleticavano il collo al ritmo basculante del traghetto, pensavo a quanti, tra i miei conoscenti, dopo il naufragio del loro matrimonio, barcollavano nelle loro esistenze tirando tardi nei club con addosso la sensazione di essere già finiti. A quelli che per pusillanimità ristagnavano negli acquitrini di una finzione di coppia senza prospettive. Ai cinquantenni Peter Pan single, maratoneti del sesso, i più disgraziati di tutti».

Che peccato non poter continuare a raccontare la trama e, soprattutto lo svolgersi dell’amore tra Riccardo e Jasmine. Ma sarebbe una crudeltà svelare altro. Lo si leggerà. Si leggerà di questi personaggi, di questi uomini e di queste donne così contemporanee, fragili come il vetro, nonostante gli atteggiamenti, le pose, i machismi o le robuste attestazioni di indipendenza e singletudine femminile. Leggerete di voi stessi, perché si legge di noi stessi in questo libro… dell’umanità spaesata e confusa del terzo millennio.

Giovanni Petta76 Posts

È nato nel 1965 in Molise. Ha pubblicato le raccolte poetiche «Sguardi» (1987), «Millennio a venire» (1998) e «A» (2016); i romanzi «Acqua» (2017), «Cinque» (2017) e «Terra» (2021) ; il saggio giornalistico «L'Italia delle regioni, il Molise dei ricorsi» (2001) e, con lo pseudonimo di Rossano Turzo, «TurzoTen« (2011) e «TurzoTime» (2016). Allievo di Mogol, ha inciso «Non crescere mai» (1993), «Trema terra trema cuore» (single, 2003), «Il bivio di Sessano» (2012). Ha diretto le testate «Piazzaregione» e «L'interruttore». Ha coordinato l'inserto molisano de «Il Tempo».

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