Ecologia urbana o verde urbano, natura naturans o natura naturata in Campobasso?
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Sono concezioni diverse delle superfici destinate al verde, l’una legata alla salvaguardia e ricostruzione della biodiversità vegetale, l’altra alla creazione e mantenimento di spazi per lo svago all’aperto. Ci sono poi gli alberi dei quali il centro cittadino è ben dotato che svolgono, in maniera isolata, un ruolo nel miglioramento della qualità dell’aria.
«La città a 15 minuti» è un obiettivo ormai comune a molte città europee; tra i posti raggiungibili nel raggio di un paio di kilometri dalla propria residenza vi devono essere anche gli spazi verdi, non solo le attrezzature di uso collettivo quali le scuole, i presidi sanitari di base, le fermate dei mezzi di trasporto pubblico e così via. Nel capoluogo del Molise tale traguardo è davvero alla portata di mano, o meglio, dato che trattasi di percorrenze pedonali, di piede per quanto riguarda il verde, meno, probabilmente, per altre utilities (con la chiusura della Casa della Scuola a via Roma gli abitanti del centro storico non hanno più un istituto di istruzione elementare nelle vicinanze).
In pressoché ogni quartiere è prevista una superficie a verde per la ricreazione all’aperto: il Quartiere CEP ha il Parco dei Pini, il cosiddetto Borgo Murattiano, l’areale focale dell’insediamento abitativo, ha in appendice la Villa De Capoa, il primo parco in assoluto di Campobasso, il borgo medioevale è contiguo alla Collina Monforte del cui piano di fruizione è stata realizzata finora solo la Via Matris, il quartiere S. Giovanni ha il Parco di Via Lombardia e, in ultimo, per il quartiere Vazzieri il PRG ha previsto nella Zonizzazione la Zona Verde nel vallone del torrente Scarafone.
Non abbiamo nominato a caso quest’ultimo come ultimo caso, lo abbiamo fatto perché è un caso a parte. La sua condizione attuale di luogo selvatico, non un luogo bello e pronto per lo svago, ci spinge a riflettere su cosa si debba intendere per verde urbano. Se è pacifico che la presenza della vegetazione in ambito cittadino è indispensabile in quanto utile per la purificazione dell’aria, per la riduzione del rumore e per il miglioramento estetico dell’abitato non vi è una condivisione unanime su quale tipo di verde urbano prediligere, se non sullo stesso concetto di verde urbano.
Vi è una distanza notevole tra le due concezioni di verde urbano, da una parte quella di superficie funzionale allo svolgimento di passeggiate anche in bici, la pista ciclabile verso Ferrazzano, al picnic, le aree attrezzate in località Foce e a Montevairano, al gioco dei bimbi, il giardino intitolato a B. Musenga, ecc. e, dall’altra parte quella di ambiente naturale, cioè di uno spazio di verde non “addomesticato” e, pertanto, con un alto livello di naturalità che è poi lo stato di fatto del corso iniziale dello Scarafone.
Da un lato, lo si ripete, le qualità ecologiche e dal lato opposto le qualità funzionali all’intrattenimento en plein air. La natura spontanea ha suscitato sempre sentimenti di paura, o quantomeno inquietudine che la cittadinanza, messa alla prova, di fronte a lembi di territorio inselvatichito a ridosso del territorio urbanizzato, di nuovo la forra dello Scarafone (lo stesso nome, del resto, suscita repulsione); qui si annidano, la prova di cui sopra, animali indesiderati, all’ordine del giorno sono i cinghiali trovati a scorazzare in ore notturne tra le strade periferiche (recenti avvistamenti vi sono stati a via Ungaretti e via Leopardi, ambedue vie del quartiere Vazzieri).
Alla natura “disordinata” incontrollata, nonostante sia in possesso di elevata biodiversità, preferiamo la natura ordinata. Un bosco in città è apprezzato se è un bosco “artificiale”, la pineta dei “monti”, con i pini che seppure si sono naturalizzati tanto da far rientrare questo sito nella Rete Natura 2000 allineati su gradonate rimangono una specie alloctona. Una piantagione di conifere ha poca capacità di rinnovarsi, mentre una formazione boschiva originaria (si badi bene non si è detto primigenia perché da noi non ve ne sono), prendi il Bosco Faete il quale per la sua prossimità con l’agglomerato insediativo può considerarsi un parco urbano in fieri, è maggiormente stabile essendo in grado di riprodursi; la stabilità è un valore ecosistemico il quale si aggiunge a quello della biodiversità per la varietà di essenze arboree che lo compongono.
Non è solo questa pinetina ad essere opera della mano dell’uomo-giardiniere in quanto lo sono evidentemente i, tutti, tanti giardini che stanno all’interno della città-giardino nostrana, oppure gli ormai ex-giardini in quanto parzialmente pavimentati, da Villetta Flora a piazza Cesare Battisti a piazza Cuoco fino a piazza Vittorio Emanuele III.
L’arte del giardinaggio reprime, piuttosto che governarlo, il dinamismo, il, per così dire, istinto primordiale del mondo vegetale ad evolversi fino a raggiungere un assetto stabile, del quale si è parlato poco fa; tale tendenza evolutiva si manifesta nelle aree vegetate di neo-formazione con stadi successivi di crescita come si coglie in quella a particella di terreno alberato che sta alle spalle del complesso parrocchiale Mater Ecclesia, una specie di selva, magari, contraddicendo il Poeta, non aspra e forte. Si è discusso finora di natura in città, sia essa natura naturans sia essa natura naturata come direbbero gli antichi, riferendosi costantemente a fatti areali, pure l’aiuola nel suo piccolo lo è, si indica lo spartitraffico all’incrocio tra le vie Mazzini, XXIV Maggio, IV Novembre, e, però, esistono anche episodi naturali puntuali, gli alberi, tra l’altro numerosissimi.
Essi sono particolarmente graditi nei contesti urbanistici per i benefici che offrono compreso quello, non solo per l’ombreggiatura, dell’attenuazione delle “ondate di calore”, un’emergenza di Protezione Civile, cui Campobasso è soggetta caratterizzata com’è da un clima di tipo continentale con estati con punte di caldo eccessivo e inverni con giornate assai rigide.
La parola d’ordine attuale nei provvedimenti governativi non è tanto la forestazione urbana quanto la messa a dimora di essenze arboree singole (o, perlomeno, non tagliarle come si è fatto lungo via Trivisonno, decisione forse legata al loro rischio di caduta causa vetustà). È una preziosa eredità quella che ci è stata trasmessa, e che dobbiamo tenerci ben cara, dei lecci che bordeggiano il corso principale, dei pini d’Aleppo, dei tassi, delle sequoie, in verità ora solamente una, punteggianti l’espansione ottocentesca, un verde puntiforme con tanti puntini che sommati insieme formano una discreta chiazza verdeggiante.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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