Belvedere di fatto ma non di nome
di Francesco Manfredi-Selvaggi
È perché nel Molise esistono tantissimi punti panoramici e però pochissimi riconosciuti ufficialmente quali belvedere. Non è solo una questione “nominologica” perché, va da sé, senza tale riconoscimento anche nelle guide turistiche molisane mancano indicazioni sui luoghi di osservazione i quali altrove attraggono molti visitatori amanti del bel paesaggio. (ph F. Morgillo)
Ci sono vedute più suggestive di altre, prima premessa. Seconda premessa è che quelle che ci interessano qui sono solo quelle che si colgono dai centri abitati. Terza premessa è che ci occuperemo unicamente di quelle godibili da aree pubbliche e non da abitazioni private. Quarta premessa è che tali superfici devono risultare appartate rispetto alle reti di circolazione automobilistica, al massimo possono essere piazze aventi angoli non interessati dal traffico e non, ovviamente, destinati a parcheggio, succede a Macchiagodena, sempre ovviamente, prospicienti la vallata da ammirare.
Quinta premessa, messa in ultimo perché la spiegazione richiede più tempo è che il territorio da, adesso, apprezzare sia vincolato, l’85% dell’ambito regionale lo è, paesaggisticamente in quanto, altrimenti, si rischia che i quadri visivi oggetto di apprezzamento attualmente vengano alterati da qualche intervento incongruo; ci sarebbe pure un costo economico accanto a quello estetico, venendo a inficiarsi l’investimento finanziario effettuato dall’amministrazione civica per attrezzare il belvedere.
Vale la pena approfondire la tematica della salvaguardia facendo entrare in campo il regolamento di attuazione della legge originaria sulle “bellezze naturali” (è un’espressione un po’ retrò, ma siamo nel 1939) a tutt’oggi in vigore per il quale i connotati del contesto territoriale soggetto della visione panoramica oggetto di misure di conservazione sono i colori e le masse delle componenti, sia antropiche, sia geomorfologiche, sia vegetali che formano l’insieme ambientale.
Va da sé che qualora il point of view sia assai in alto l’immagine del mondo in basso risulterebbe schiacciata, assomiglierebbe ad una mappa topografica (Boiano vista da Civita Superiore); i pali eolici, per capirci, si vedrebbero da lassù quali cose puntiformi e non quali elementi verticali. Nel Molise non si è data finora applicazione alla predetta disposizione normativa che prevede la protezione, in contemporanea, del belvedere e dell’areale rientrante nel cono visivo che da lì si apre.
Terminate le premesse che, in effetti, hanno preso molto tempo, ma che, in effetti, erano indispensabili per definire i termini della questione si passa all’esame della casistica dei belvedere nostrani. Il primo caso è quello della bellezza del mare che innamora quanti, siamo nella principale cittadina adriatica, percorrono il camminamento di ronda sovrapposto alle mura aragonesi che cingono il Borgo Antico, una percezione dunque dinamica, da cui la vista spazia a 180° e quanti sostano, percezione statica, al margine estremo di piazza S. Antonio dove l’ampiezza visuale è molto più limitata (la colpa è del Castello Svevo!).
La vicinanza con la distesa acquea che si ha specie nel nucleo storico termolese fa di questa visione un’esperienza, addirittura immersiva, mentre da altitudini superiori, il piazzale che affaccia sulla marina di Campomarino “alto”, è distaccata. Non si è citato il terzo centro posto in “prima fila” da cui si assiste allo spettacolo, per rimanere nell’analogia teatrale, del mar Adriatico che è Petacciato tanto perché arretrato rispetto alla costa (Montenero lo è anche di più) quanto perché il sito di apprezzamento del meraviglioso fondale scenografico, di nuovo il teatro, costituito dal mare, vicino alla chiesa romanica di S. Rocco, è minacciato da instabilità idrogeologica.
I belvedere sugli scenari marini rappresentano, poiché da noi il litorale è breve, una fattispecie particolare e però pongono una questione generale che è la contrapposizione tra due tipologie di visioni, quella, mutuando i termini dell’arte militare medioevale, “radente” (le truppe nemiche da colpire d’infilata) quando il mare sta di fronte all’osservatore, accade a Termoli, e quella “piombante” (gli assedianti colpiti con massi lanciati dall’alto degli spalti dagli assediati), accade a Campomarino capoluogo.
Lasciamo il mare, ma non lasciamo l’acqua perché ora, infatti, vogliamo parlare del lago del Liscione. Siamo in una zona collinare e perciò viene da pensare che qui siano abbastanza diffusi i belvedere e, invece, non è proprio così, manca perfino a Guardialfiera che sta in una posizione privilegiata per ammirare il bacino lacuale. Purtroppo oltre che per le distese lacustri manca ai molisani, e di conseguenza ai turisti, il gusto della vista del tratturo, il segno culturale identitario di questa terra.
Sono pochi, nonostante l’estensione della maglia tratturale, i belvedere da cui si scorgono le fascinose vie della transumanza. Una delle postazioni idonee è il giardinetto adiacente al Monumento ai Caduti di Civitanova dal quale è possibile abbracciare visivamente un pezzo del Castel di Sangro-Lucera. I belvedere che hanno un appeal superiore sono quelli ubicati al di sopra delle forre che nel Molise non mancano e neanche questi ci sono.
A Guardiaregia si è preferito puntare per la “valorizzazione” della gola del Quirino sul “volo dell’angelo” piuttosto che su un osservatorio. L’unico momento per vedere con un solo colpo d’occhio le tre spettacolari emergenze rocciose del Parco delle Morge è una sosta in prossimità del bar di Codacchi di Trivento. Dei boschi manco a parlare, la vasta landa boscata della Valle Porcina è appena percepibile, dipende dalla velocità di guida, dal viadotto dell’Atina-Isernia, tra il capoluogo pentro e Fornelli.
Pure dalle montagne giunge il “non pervenuto”: i villeggianti che villeggiano a Campitello si devono accontentare, venendo quasi svilleggiati, quale belvedere di una piccola piazzola stradale da cui si domina la valle. Non è, ad ogni modo, detto che i belvedere siano esclusivamente quelli in cui lo sguardo corre da su a giù, si possono definire tali anche quelli dove avviene il viceversa: il cuore della stazione sciistica, il vecchio rifugio EPT, è al cospetto della cima più elevata del Matese che ai suoi piedi ha uno dei circhi glaciali più a sud dell’Appennino, uno sforzo quello di alzare la testa che viene ricompensato dalla veduta.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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