Boiano al tempo dei cambiamenti climatici

di Francesco Manfredi-Selvaggi

In una visione catastrofista il centro matesino rimarrebbe allagato per molti giorni all’anno. È una previsione limite, ma occorre attrezzarsi anche per questa eventualità (ph. F. Morgillo)

Nella previsione che i cambiamenti climatici diventino irreversibili e, quindi, che i fenomeni alluvionali diventeranno, da un lato, imprevedibili, questa è la previsione, e, dall’altro lato, sempre più frequenti e di forte intensità, non è futuribile pensare che in futuro Boiano rimanga sott’acqua molte volte all’anno. E per diversi giorni, fin quando l’acqua non si ritira, nei quali potrebbe essere utile utilizzare, per scherzo ma non troppo, la canoa per spostarsi all’interno del centro urbano in cui si va affermando questa pratica sportiva già da un po’.

C’è una certa analogia con quanto si fa in comuni caratterizzati da forte nevosità, lo stesso capoluogo regionale, in occasione di precipitazioni nevose abbondanti quando la coltre di neve depositata al suolo diventa spessa, nelle cui strade ci si riesce a muovere con gli sci da fondo, evidentemente per diletto. Le canoe che hanno un basso pescaggio, il fondale è basso, e non altro tipo di barca perché è da presumere che l’allagamento porterà non alla sommersione dell’urbanizzato, bensì sarà qualcosa di simile all’ “acqua alta”, poche decine di centimetri.

Il canottaggio, in definitiva, come sistema di trasporto cittadino, fanno i canoisti le veci dei tassisti. Se è un’ipotesi valida per Boiano lo è anche per Altilia, ambedue città di pianura, si prefigura una visita agli scavi pagaiando, davvero suggestivo. Urge rassicurare sull’assenza di danni dovuti all’umidità ai resti archeologici poiché il materiale che li costituisce è il calcare e non materia organica.

Si immagina per il domani, purtroppo non così lontano, che si ricorrerà al canoismo, per il passato, rispetto alla storia della nostra civiltà non così remoto, che si ricorreva alle zattere, le imbarcazioni primitive, all’interno della stessa laguna in cui era ricompresa la Boiano. La piana, infatti, doveva essere all’origine una estesa zona lagunare, e la differenza con quanto accadrà a causa del mutamento del clima è la seguente: essa era permanente e non temporanea, legata a eventi atmosferici estremi (non eccezionali, però, in quanto frequenti).

Le acque che sgorgano copiosamente dalle scaturigini del Biferno dilagavano nel territorio planiziale ristagnando nelle fasce altimetriche più depresse della conca boianese; bisogna aspettare i Romani acché fosse bonificata l’area, una loro specialità. Tali ampi acquitrini, ci soffermiamo su questi per il prosieguo, erano frutto non solo del libero divagare delle acque di sorgente, ma pure dell’afflusso idrico che proveniva (non proviene più perché deviato fuori dal nucleo insediativo, almeno le portate di piena) dalla montagna sovrapposta all’abitato, il Fosso S. Vito e il Ravone e dalla collina contrapposta all’abitato, il Fosso di Spina.

Tali rivi torrentizi confluiscono nel Calderari il quale costituisce una specie di collettore posto com’è nella curva di livello inferiore del perimetro comunale. I torrenti trasportano un miscuglio acquoso-terroso che va a intasare l’alveo di tale corpo idrico recettore che si insabbia con gli inerti che si spargono nel fondo vallivo. I depositi fanno crescere la quota del piano di campagna, prova ne è il decumano della Bovianum Undecanorum che è stato rinvenuto a circa 2 metri di profondità dall’attuale, per così dire, calpestio.

È un processo a catena, l’acqua fuoriesce dal letto perché esso si è innalzato a seguito dei sedimenti che vi si sono sedimentati sopra. Tale era lo stato dei luoghi quando si svolse il mitico Ver Sacrum, ora diventato una specie di atto rituale, con il bue (da cui il nome dell’agglomerato) che si impantanò letteralmente (a meno che non fosse stato una bufala campana!) nelle acque palustri costringendo la migrazione, che aveva un risvolto sacrale, alla stregua di un mito fondativo, ad arrestarsi.

Quelle che di primo acchito potrebbero essere scambiate per condizioni non favorevoli al popolamento umano non lo erano affatto, basta sapersi adattare. Il villaggio nacque sulle pendici del colle su cui sorge Civita e i pantani che lo cingevano nel lato verso valle finivano per proteggerlo. Per capire la loro funzione strategica ai fini difensivi bisogna fare un salto in avanti nel tempo, all’indomani della fine della dominazione dell’Urbe che fu la fine della manutenzione delle opere di irregimentazione fluviale e bisogna fare una comparazione con la situazione di Altilia, già chiamata in campo per un altro parallelo, che è la seguente: entrambi i municipia sono collocati non in altura, la condizione orografica ottimale per respingere il nemico, sono in area di identica sismicità, sono attraversati dalle medesime arterie, ecc. ecc. e nonostante ciò unicamente Boiano è sopravvissuta.

È da ritenere che gli abitanti abbandonarono Saepinum poiché difficilmente difendibile, pur essendo dotato di una poderosa cerchia muraria, dalle incursioni dei Saraceni mentre Boiano sfruttava quale “cordone sanitario”, cintura di sicurezza l’ambiente lagunare che lo circondava. Ciò la aveva fatta diventare la capitale del Sannio, non si direbbe che lo stare a mollo ti fa crescere di status, e in quei frangenti di sopravvivere.

Boiano si sentiva totalmente rassicurata dall’affaccio sul megafossato rappresentato dalle paludi che la cingevano che non avvertì il bisogno di bastioni murari, venendo ad assumere le sembianze di «città aperta». Aperta ai traffici, tramite la Via Minucia, e alla transumanza, tramite il Pescasseroli-Candela, costituendo un punto di passaggio obbligato posizionata com’è immediatamente innanzi al momento in cui il Biferno prenda la sua forma compiuta, il che avverrà alla Fiumara, mai un toponimo è così azzeccato, con la congiunzione dei tre rami in cui si suddivide nella sua fase iniziale il Calderari, il Rio Freddo e Pietre Cadute, l’eterno gioco, scomposizione versus ricomposizione; è l’unico luogo in cui si riesce a bypassare il fiume.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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