Parchi a tutela variabile

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Quale tutela la decide il piano del parco che per legge ha il compito di regolamentare il territorio rientrante nell’area protetta. Si avranno così zone in cui vige il divieto per qualsiasi attività e zone con minori vincoli, in dipendenza del loro valore naturalistico. Sul Matese è immaginabile che la fascia pedemontana sarà la meno vincolata.

Intendiamo parlare di piani partendo però da qualcosa che non si può considerare frutto di pianificazione se non a posteriori. Non si tratta di un qualcosa di secondario, essendo direttamente connessa con la stessa istituzione dei parchi, quindi di qualcosa di primario. La decisione di creare determinati parchi è qualcosa di prioritario che precede, evidentemente, quella di suddividerli al loro interno in Zone ognuna delle quali ha un distinto regime di tutela e una specifica Destinazione d’Uso (secondo la terminologia urbanistica).

Andiamo al dunque, il Parco Nazionale del Matese e il Parco Nazionale d’Abruzzo sono nati per conservare le bellezze di quei territori, l’unico motivo per cui sono stati fondati, costituendo, di certo, una conseguenza indiretta il fatto che essi fungano da serbatoio di Verde, Pubblico, (un altro termine dell’urbanistica) per le grandi conurbazioni urbane prossime, Napoli e Roma. In Italia essi possono essere intesi figli di una Zonizzazione a scala, manco a dirlo, nazionale, solamente che questa è qualcosa avvenuta, qualora la si voglia ritenere così, ex post.

In giro per il mondo i parchi nazionali sono dei “santuari” della natura la cui visita rappresenta quasi un “pellegrinaggio”, sia individuale sia collettivo, in poche parti del pianeta vi sono parchi vicino alle città. Tra queste vi è l’Italia, in particolare la sua fascia centrale con la Capitale e l’antica Capitale dello Stato borbonico, città ricche di storia e di abitanti così prossime ai due parchi citati. Si tratta di parchi dell’Appennino, che anche per questo aspetto si differenziano da quelli delle Alpi che sono più remoti, stando distanti dalle altre due grandi città italiane, Torino e Milano, transpadane piuttosto che cisalpine.

Per i parchi nazionali non conta la lontananza dai luoghi di abitazione perché l’appassionato della natura è disposto ad effettuare lunghi viaggi per ammirarli o dedicare loro un’intera vacanza, mentre i parchi regionali sembrano rispondere all’esigenza di avere la natura a portata di mano, di poter fruire di ambienti integri, se non selvaggi, con maggiore frequenza, ovvero sono i parchi sotto casa.

I Parchi Nazionali d’Abruzzo e del Matese assolvono a tutt’e due i compiti e non sono, peraltro, in concorrenza fra loro, non tanto perché il “bacino di utenza” potenziale che gravita intorno ad essi è amplissimo, diversi milioni di persone, quanto per il fatto che il turista ama cambiare le mete dei suoi spostamenti (non perché non rimanga soddisfatto dall’uno o dall’altro parco, bensì per pura curiosità, interesse a vedere cose sempre nuove).

Per i parchi nazionali non è lecito usare il vocabolo pianificazione, se non a ritroso, lo si è detto all’inizio, e, invece, per i parchi regionali si, diventando un obbligo in base alla generalità delle leggi regionali in materia la redazione del piano dei parchi. Va precisato a proposito di ciò che si è appena detto che pur non scaturendo da un piano i parchi nazionali devono formare un sistema il quale ingloba anche i parchi regionali (oltre che le riserve, statali e regionali, per completezza), imponendo, evidentemente, ai piani di questa seconda categoria di parchi di tener conto dei primi.

In definitiva, la pianificazione c’entra sempre vuoi o non vuoi, anche con i parchi nazionali. Il piano pervade la legislazione di settore, prevedendo la stesura del “piano del parco”, considerato lo strumento fondamentale per la gestione del parco. In effetti, una pianificazione che disciplini l’uso del territorio appare indispensabile specialmente per i parchi appenninici datosi che si tratta di aree in cui vi è la compresenza di fatti naturali e di fatti antropici che è, poi, il loro pregio principale, la loro unicità anche a scala internazionale.

Per capire meglio quanto si sta dicendo è un opportuno confronto, osservare un parco alpino, uno qualsiasi, dove la montagna la fa da padrona ricacciando nei fondovalle gli abitati; a questi parchi si attaglia perfettamente la disposizione normativa di suddividere l’ambito in una zona a riserva integrale e in zone soggette a tutela, man mano, meno stringente. Tale differenziazione delle misure di conservazione segue solitamente un andamento decrescente, decrescente proprio in senso altitudinale con i vincoli che nella fascia a quote avanzate sono fortemente restrittivi e che scendendo di curve di livello diventano meno, per l’appunto, vincolanti.

Si spera non aver banalizzato troppo, ma era necessario estremizzare il discorso. Il Matese, pur trovandosi nell’Appennino, anzi al centro dell’Appennino, ha qualche lineamento che ricorda, alla lontana, la situazione che si verifica nelle Alpi, con i paesi in basso e in alto, in montagna, le particolarità naturalistiche da proteggere; ciò, cioè l’assenza di antropizzazione (eccetto Campitello) sul rilievo montuoso con la concentrazione degli insediamenti umani ai suoi piedi, è dovuto al carsismo che fa sì che in quota non vi siano sorgenti le quali sono allineate al suo basamento.

Pertanto pure al Parco del Matese è applicabile con facilità lo schema di una tutela a cerchi concentrici (cerchi, in verità, oblunghi in quanto è un massiccio dalla forma allungata) al cui vertice c’è monte Miletto. Il Parco Nazionale d’Abruzzo, almeno il suo nucleo storico, rivela, all’opposto, caratteri decisamente appenninici.

Qui i borghi sono altitudinalmente elevati e posti in una concavità intermontana tra il gruppo delle Mainarde e i monti Marsicani per cui, qualora non venga ben governato il territorio, appunto tramite il piano, il rischio che si corre è che essi potrebbero rivelarsi, la striscia fra le due contrapposte emergenze montane le quali sono il regno della naturalità assoluta (salvo episodi di disturbo quali le infrastrutture idroelettriche), fattori di frammentazione ambientale.

Qui la zonizzazione ai fini della tutela è indispensabile sia articolata, per intenderci a macchie, e non rispondente esclusivamente al criterio orografico. Sopra abbiamo rimarcato differenze tra i due Parchi Nazionali, adesso vediamo cosa li unisce e tale cosa è il tratturo Pescasseroli-Candela il quale prende avvio dal capoluogo del PNdA e il cui percorso è tangente al Matese: per quello che riguarda la questione che stiamo affrontando, la pianificazione, quella dei parchi sopraddetti dovrà coinvolgere, per i pezzi dove è contiguo ad essi, pure il tratturo per il quale il Molise ha previsto, con uno specifico atto di legge, un parco che per avere compiutezza dovrà estendersi pure all’Abruzzo trasformandosi in parco interregionale.

Ciò nella logica del citato sistema dei parchi che tiene insieme i nazionali e i regionali. L’esistenza del parco del tratturo, lambendo il Matese (il quale, peraltro, ha molto a che fare con la pastorizia essendo luogo di alpeggio) è destinata a influire sulla Perimetrazione del relativo Parco, fornendo una linea di demarcazione certa tra ciò che è fuori e ciò che è dentro.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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