Nel Matese stratigrafia capovolta, ciò che è sopra è più antico di ciò che è sotto
di Francesco Manfredi-Selvaggi
È cambiata varie volte la geografia umana dei luoghi nella serie di vallate ai piedi del massiccio. In epoca sannita si abitava sulle alture, in età romana in pianura, nel medioevo sui colli. Le fasi stratigrafiche che negli scavi archeologici stanno una sull’altra qui sono affiancate oltre che rovesciate (ph. F. Morgillo)
La vallata di Boiano ha più volte cambiato volto. In epoca romana non solo in modo radicale, ma pure in maniera repentina. Ha subito un vero e proprio trauma con la realizzazione del municipium di Bovianum Undecanorum la quale avvenne in un lasso temporale assai breve, almeno la rete infrastrutturale, trattandosi di una città cosiddetta d’impianto costruita, dunque, sulla base di un piano urbanistico ben definito; è nata tutt’insieme come Minerva dalla testa di Giove, non gradualmente alla maniera degli abitati spontanei.
Roma ha impresso un segno indelebile sulla valle sia con la strada di fondovalle, il tratto della SS. 17 che interessa l’area, sia con l’insediamento che è nel piano; l’andamento deciso della prima e l’organizzazione urbana precisa della seconda sono manifestazioni della determinazione, è la loro forza, dei dominatori nel controllo dello spazio oltre che della società, da loro sottomesso. Ambedue, la retta che è il percorso viario, e la scacchiera che informa la, appunto, forma urbis sono figure geometriche assolute così come è assoluto il potere dell’Urbe, una specie di sua rappresentazione.
I sanniti, invece, stanno sulle alture, dunque più in alto per cui potremmo parlare, in senso lato, di una stratificazione rovesciata, ciò che è più antico sta sopra e ciò che è più recente sotto, se non fosse che gli strati non insistono l’uno sull’altro, bensì sono affiancati; per tale ragione il termine da usare appropriato è giustapposizione, i vari periodi storici sono fra loro giustapposti e non stratificati. Il capovolgimento del comune modo di sentire per cui al momento storico precedente si sovrappone quello successivo e non il viceversa è contraddetto anche dal posizionamento intermedio del nucleo abitativo nell’Età, guarda caso, di Mezzo, un autentico puzzle.
Prendi Sepino attuale che è sorta nel Medioevo: essa sta più giù di Terravecchia che è sannita e più su di Altilia che è romana. Non si tratta di un accatastarsi nel medesimo sito come avviene ordinariamente altrove, ad esempio Isernia per rimanere in Molise, è, invece, un accostarsi fra di loro di civilizzazioni affermatesi in secoli diversi. Può succedere che alla conclusione dell’arco temporale contrassegnato da una certa civiltà il luogo in cui esso ha insistito venga abbandonato, vedi Saipins e Saepinum i quali erano scomparsi nella coscienza collettiva per millenni, sepolti nella memoria.
È normale che un agglomerato antico venga seppellito sotto i livelli insediativi che lo seguono nel tempo, di nuovo è calzante quale esemplificazione il capoluogo pentro dove il templio della colonia romana è sottostante all’odierna cattedrale dimostrando questa cittadina, un raro caso nel territorio una volta Sannio, una capacità di permanenza nel medesimo punto per oltre 2000 anni. Generalmente non è così, ciò che viene dopo non approfitta dei resti di ciò che stava prima, i nuclei residenziali traslocano altrove ed è immediato constatarlo nel comprensorio del Matese in cui si sono avuti plurimi trasferimenti delle sedi antropiche, da Terravecchia ad Altilia a Sepino.
Hanno prevalso motivazioni geografiche nelle scelte localizzative piuttosto che l’opportunità di riutilizzare le attrezzature urbiche preesistenti: i sanniti prediligevano l’arroccarsi sui rilievi, i romani preferivano le piane, più facili da urbanizzare, i longobardi e poi i normanni tendevano a posizionarsi a quote collinari contemperando così le esigenze di difesa con quella della prossimità ai campi da coltivare. Tutto è in vista nel circondario matesino, non c’è bisogno di scavi archeologici in profondità per vedere l’avvicendarsi dei popoli che hanno occupato queste terre, con l’avvertenza che bisogna procedere con lo sguardo da cima a fondo, per così dire, dall’età arcaica, Terravecchia, a quella della dominazione romana, Altilia, e di qui risalire con gli occhi fino a Sepino che risale, e sì, al medioevo.
Se nella struttura insediativa non vi sono sovrapposizioni ve n’è, invece, una nel sistema viario. Il tratturo è sfruttato dai romani quale sedime per l’arteria stradale che vanno a predisporre. I conquistatori romani trovano particolarmente idoneo all’uopo il Pescasseroli-Candela nel pezzo in cui corre dai piedi del Matese tanto per il suo svolgersi su un suolo piatto quanto per la sua rettilineità, due caratteristiche molto apprezzate dagli ingegneri “trasportisti” dell’Urbe. È da evidenziare che le vie della transumanza non si sviluppano unicamente in zone agresti, boschi e pascoli, bensì attraversano pure le città, il Pescasseroli-Candela ben 3, Isernia, Boiano e Altilia, in quest’ultima decumano e percorso tratturale si fondono, una con-fusione piuttosto che una sovrapposizione.
Nel discorso fatto si è parlato di sovrapposizioni e di giustapposizioni e non si è fatto cenno ad elementi che sono rimasti stabili nel tempo, un’eccezione in questo quadro in continuo mutamento e movimento. Uno di essi è di sicuro il rifugio di S. Egidio troppo essenziale è la sua funzione di presidio montano presso una delle poche fonti in altitudine, siamo in una montagna carsica. Essa serviva per l’approvvigionamento d’acqua dei montanari e per le greggi in alpeggio. È un’infrastruttura fondamentale il rifugio per l’attività pastorale la quale è stata una fonte, adesso non idrica, vitale di sostentamento della popolazione chiunque sia il dominatore di turno dell’area.
All’essere fisso la pastorizia quale settore economico primario corrisponde l’essere fisso del ricovero alpestre. Con l’avvento del cristianesimo le sue funzioni si sono arricchite ad integrazione della sua funzionalità originaria per scopi zootecnici, la quale non è venuta meno affatto, diventando anche un eremo. L’eremita che per vocazione avrebbe dovuto vivere in un posto appartato si ritrova a con-vivere con pastori, boscaioli, cacciatori che di lì necessariamente devono passare offrendo loro un riparo se colti da forti nevicate e temporali agendo un po’ come un gestore di rifugio alpino.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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