Il duca non è in casa, ovvero nel casino

di Francesco Manfredi-Selvaggi

 

È una villa patrizia che sta a fianco del Celano-Foggia in territorio di Civitanova, appartenuta ai D’Alessandro, feudatari anche di Pescolanciano. È un manufatto architettonico di pregio (Ph. F. Morgillo)

È estremamente raro nelle nostre campagne incontrare degli edifici destinati alla villeggiatura di famiglie signorili di epoca ottocentesca, destinazione esclusiva. Non solo da noi perché ovunque, si prendano le ville venete, alla residenza padronale di vacanza si affiancano annessi agricoli, magari, l’abitazione del colono.

La proprietà è dei duchi D’Alessandro, signori in epoca feudale e, quindi, fino al 1805, di Civitanova, Pescolanciano, Duronia, Pietrabbondante e Carovilli, Comuni fra di loro confinanti tanto da configurare, in qualche modo, un unico feudo, alla stregua di una “signoria”. Il casino risulta baricentrico rispetto ai primi quattro centri e ciò non deve essere un caso. Un altro fattore geografico che ne giustifica la localizzazione è il passaggio nelle vicinanze, immediate, del tratturo Celano-Foggia il quale si ricollega con il tratturo Castel di Sangro-Lucera tramite un breve percorso tangente tanto al Casino del Duca quanto all’abitato di Civitanova, probabilmente il più breve possibile; tale percorso, seppure non inscritto tra i Tratturelli, si rivela essenziale per chiudere la maglia tratturale.

In definitiva il casino dei D’Alessandro è in una posizione strategica oltre che estremamente visibile da un ampio circondario, non solo dall’arteria di grande circolazione che lo sfiora, la Trignina. Non è il “quartier generale” di un’azienda rurale, funzione che sarebbe compatibile con il villeggiare dei proprietari che, anzi, soggiornandovi nei periodi di raccolto avrebbero potuto controllare il lavoro dei contadini, perché mancano i locali per il deposito delle derrate, le stalle, ne è, non ne ha proprio il carattere nonostante le garitte munite di feritoie (indirizzate verso i muri) appese a tutti gli spigoli e i corpi di guardia ai lati del cancello che introduce alla corte, un fortilizio perlomeno per le troppe bucature nelle pareti.

È qualcosa di inedito nel panorama agreste molisano, salvo qualche sparuta casina di caccia come quella di Torcino appena al di fuori dei confini regionali appartenuta al re di Napoli, un luogo per gli ozi di una famiglia patrizia e dei suoi ospiti tra i quali vi deve essere stato il famoso archeologo Mommsen ospite dei D’Alessandro iniziatore degli scavi di Pietrabbondante (è credibile la sua presenza lì perché la villa, c’è scritto all’ingresso, è del 1856).

È inconsueto, o meglio era, dato lo stato di abbandono di tanti fabbricati nell’agro, trovare edifici come doveva essere questo che per lunghi periodi dell’anno era lasciato vuoto, animandosi soltanto durante le ferie qui trascorse dai famigliari del duca, non necessariamente nella stagione estiva, è ovvio e con probabilità non quelle due volte l’anno che passava la transumanza, troppo frastuono.

È tempo per tornare ad una caratteristica del manufatto evidenziata prima, quella delle garitte, una specie di torrette sospese in sommità dei 4 angoli del volume edilizio per sottolineare che se non è una rarità trovare delle torri affiancate ad una costruzione isolata nei  campi, vedi quella del casino Tommasi a Spinete, quella del casino Selvaggi a S. Massimo, ecc. e neanche lo è la loro funzione difensiva (seppure altrove servono anche a sorvegliare i possedimenti, non solo la casa) lo è il combinato disposto tra esse e gli avancorpi affiancati all’ingresso dello spazio recintato immediatamente antistante la villa, le une disposte in alto, gli altri in basso.

I presidi difensivi sono collocati, e ciò è singolare, in cima e ai piedi della struttura architettonica, non in maniera continua, cioè da cielo a terra. Al di là dell’anomalia segnalata, quella di uno sviluppo in verticale incompleto dell’apparato di protezione, viene da pensare che le esigenze di sicurezza, comunque giustificate per via dell’ “endemico” fenomeno del brigantaggio (lo stesso Mommsen fu assalito dai briganti), non fossero esclusive, ma a determinare la scelta di dotare la magione nobiliare di simili accorgimenti militari si ritiene vi siano state anche ragioni di prestigio, il richiamo formale alle architetture castellane.

Dunque, le garitte come elemento fondamentalmente ornamentale. Colpisce la discrasia presente nelle residenze dei D’Alessandro, con il castello nel centro urbano di Pescolanciano che rimanda ad un palazzo rinascimentale per via del loggiato sorretto dai beccatelli rientranti tra gli apparecchi murari, a sporgere, guerreschi e il casino di campagna il cui massiccio impianto murario è alleggerito, figurativamente, dalle aeree garitte, pur essendo anch’esse accorgimenti ingegneristici dell’arte della guerra.

In altri termini, un manufatto per la “dolcevita” che vuole sembrare un castello e un castello che vuole assomigliare ad un manufatto per la “dolcevita”. Vale la pena pure far notare che mentre il maniero deve essere inespugnabile e perciò la sua entrata è regolata da un ponte levatoio, il casino è preceduto da un lungo viale contornato da ombrosi pini che costituisce una sorta di invito ad accedervi. Ciò che condiziona la veduta paesaggistica è tanto la bella fabbrica quanto la deliziosa passeggiata alberata che ad essa conduce, le quali vengono a costituire un tutt’uno.

È da sottolineare che non rappresenta un’alterazione dell’intorno, una compromissione della sua pregevolezza, il passaggio ad un centinaio di metri di distanza della Trignina perché questa è una superstrada che nell’Altomolise corre prevalentemente su viadotti e, come nelle vicinanze del Casino del Duca, in galleria, non interagendo con l’assetto agrario, non è, certo, una fondovalle.

Per la sua volumetria, di molto superiore a quella delle dimore contadine, il casino assume il ruolo di punto focale dei panorami per un largo raggio, ma è possibile leggerlo anche quale land mark, di rilevanza assoluta, di un paesaggio lineare che è quello tratturale i cui altri nodi di elevata pregnanza sono la torre di S. Bartolomeo su una sponda del Trigno e su quella opposta il Torrione di Sprondasino, località quest’ultima dove c’è un attraversamento nevralgico del fiume mediante un ponte cui si affiancava una taverna: un insieme di emergenze culturali alcune delle quali sono ammirabili dal belvedere situato sul tetto del casino, sebbene in lontananza.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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