Nel borgo medievale di Campobasso una vita fuori dal tempo, manca un orologio

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Non c’è sulla torre campanaria un orologio che segni l’orario per cui sembra che non ci si preoccupi del trascorrere delle ore. Gli impegni, gli appuntamenti non sono scanditi dalle lancette che si muovono nel quadrante dell’orologio. Non dovrebbe essere un segno di arretratezza la mancanza di questo congegno bensì il segno di una civiltà evoluta in cui l’esistenza non è ossessionata dalla fretta (ph. – Xilografia di Domenico Petrone)

In piazza S. Leonardo nonostante la sua ampiezza lo avrebbe giustificato perché avrebbe consentito stando al suo interno di vedere il quadrante, magari alzando un po’ la torre campanaria, il campanile della chiesa omonima che su essa prospetta non è dotato di orologio. Ciò è sorprendente in quanto alla fine dell’800 tanti borghi molisani, anche minori, lo stavano installando. Quando il tessuto edilizio è troppo fitto l’angolo visuale che si apre da terra è evidentemente limitato, chi si muove lungo le vie cittadine volgendo lo sguardo all’insù non riuscirebbe a scorgere l’orologio se non è posto molto in alto.

L’attrattività che aveva esercitato da secoli la città aveva portato ad una densificazione del costruito con la saturazione dello spazio la quale ha prodotto, una volta esaurito il terreno libero disponibile per l’edificazione, alla crescita in altezza dei fabbricati diventati imponenti schermi visivi. La mancanza dell’orologio sul campanile tanto a S. Leonardo quanto a S. Maria della Croce, l’unica altra chiesa officiata presente nell’agglomerato racchiuso dalle mura denuncia il mancato adeguamento dell’armatura urbana del vecchio borgo, considerato non più vitale, alle esigenze della vita moderna; si sarebbe potuta costruire per supportare l’orologio una torre civica come a Civitanova e a Casacalenda.

Prima il tempo era scandito dal suono delle campane i cui rintocchi, il loro numero, indicavano il passaggio delle ore solo tre volte al giorno, all’alba, al mezzogiorno, alla sera per invitare alla preghiera mentre l’orologio oltre alle ore, tutte e ventiquattro, ti fornisce perfino i minuti. Le giornate per l’uomo del Novecento sono cadenzate in modo preciso, i ritmi sono più serrati che nel passato, si sta andando nelle città industriali verso l’individuo-macchina e nelle città impiegatizie verso la figura del travet il cui tran-tran giornaliero è legato agli orari d’ufficio.

L’orologio, invece, fa bella mostra di sé nel campanile della cattedrale e in cima alla casa comunale, dunque nella parte nuova del capoluogo regionale, ma non sono, sono due orologi, percepibili dall’insediamento medievale. Antecedentemente agli orologi che solo i benestanti possedevano riposti nel panciotto vi erano le meridiane, in verità rare nel Molise, tra queste quelle di Larino, Busso e Frosolone; esse erano collocate su facciate assolate con la linea d’ombra dovuta ai raggi del sole, la proiezione di un chiodo piantato nel muro, ricadente in corrispondenza di un certo punto del semicerchio disegnato sulla parete, la meridiana (l’orologio è un cerchio), punto equivalente ad una certa ora.

Nel nucleo sorto nel medioevo per l’angustia degli spazi di cui si è detto, gli ambienti sono sempre in ombra, l’orologio solare data l’assenza di luce non si può proprio fare. Continuando a parlare di misure, lasciata quella del tempo a Campobasso storica troviamo un’altra anomalia. Finora abbiamo trattato dell’orologio, uno strumento per misurare il tempo e abbiamo visto, per riassumere, che non c’è perché per la sua collocazione sarebbe stato necessario un innalzamento del campanile per porlo al di sopra della cella campanaria con la quale deve obbligatoriamente convivere essendo questa la ragione sociale di un campanile, ospitare l’orologio è una cosa succedanea, adesso passiamo all’unità di misura della stoffa.

Il posizionamento di quest’ultima non è dei più appropriati in quanto è sì in prossimità della piazza del mercato e però l’asta metallica, recentemente liberata da sovrastrutture, un discendente che la copriva parzialmente, di lunghezza coincidente con la “canna” che è l’unità di misura adottata viene a trovarsi su una strada, via Cannavina, che è un canale di grande traffico e ciò non permette ai commercianti di effettuare la misurazione dei panni in vendita con tranquillità. Sono unità di misura tradizionali sia la canna sia il tomolo con i suoi sottomultipli, la prima per i tessuti la seconda per le granaglie.

Le “misure” per il grano sono una specie di vasi in pietra, dei blocchi calcarei scavati all’interno, di differente volumetria destinati a contenere grano in un quantitativo equivalente a quello che serve per seminare un, appunto, tomolo di terreno o un segmento di esso. Ci si sarebbe aspettati di trovarli nel Fondaco della Farina, luogo dedicato al commercio di questo cereale per il quale Campobasso aveva il privilegio di essere uno dei sette mercati autorizzati del regno di Napoli, ruolo attribuito alla nostra città poiché centro di riferimento del comprensorio mediomolisano, distretto granario di eccellenza.

In località non propriamente vocate a colture cerealicole perché area soggetta ad impaludamento, la piana dell’alto Biferno e quindi a Boiano oppure di montagna, Roccamandolfi vi sono esemplari di pregio di tali misure, qui niente. Forse a Campobasso si suppliva a questa mancanza con misure realizzate in legno custodite dentro il predetto fondaco per evitare che si deteriorassero. Non è detto, è un inciso, che le misure siano uguali ovunque, neanche che si uniformano a quelle del comune, che è Campobasso, deputato alla commercializzazione del grano, anzi è vero il contrario e cioè che vi sono scostamenti tra un paese e l’altro nella quantità di superficie seminativa, pur conservando il medesimo nome, corrispondenti al tomolo oppure al mezzetto.

Questo della certezza della misurazione doveva rappresentare un autentico assillo per un centro a vocazione commerciale qual’era il nostro, un problema di primo piano per evitare che si inneschino diatribe tra venditori e compratori; il commercio ha bisogno della tranquillità, che sia garantita la sicurezza delle merci, dei mercanti e degli acquirenti e nulla è più capace di richiamare alla pace del simbolo della croce ed una stele che sostiene una croce lapidea sta nei pressi della chiesa di S. Bartolomeo in cui vi è un crocevia che in epoche antichissime fungeva da sito mercantile.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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