Terre del Sacramento o della Badia di Melanico

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Le lotte dei braccianti portarono alla ripartizione dei latifondi in appezzamenti assegnati ai coloni dalla Riforma fondiaria nel 1953. Dalle descrizioni di Francesco Jovine, precedenti a quella data, a quelle dello scrittore contadino contemporaneo Donato Del Galdo (Foto di gruppo dei primi beneficiari delle terre di Melanico-tratta dal sito santacroceonline)

Il territorio comunale di S. Croce di Magliano, così come quello di Rotello, è una zona di transizione, dal punto di vista morfologico, tra il Molise e la Puglia. Esso per vari aspetti, a cominciare dall’orografia tendente al pianeggiante, assomiglia al Tavoliere. Si può dire, anzi, che da qui prende inizio il Tavoliere di Puglia il quale si estende tra i fiumi Fortore, a nord, e Ofanto a sud. Non ha scarso significato dire che S. Croce (in verità la sua parte bassa) partecipa del Tavoliere perché quest’ultimo è una unità geografica ben distinta.

Ciò vuol dire che quest’area è omogenea sia per andamento del suolo sia per caratteri insediativi, grossi borghi rurali, sia per tipo di coltivazione, domina la cerealicoltura. Il Tavoliere ha origine alle pendici delle colline argillose molisane e si conclude di fronte alla bastionata calcarea del Gargano, un altro degli ambiti sub-regionali, insieme ai Monti della Daunia, della Puglia settentrionale, il quale fa da fondale alle vedute. Da questo punto di vista non è condivisibile in pieno l’inserimento di S. Croce di Magliano, o perlomeno di tutto il comune, nel comprensorio denominato Valle del Fortore da parte del Provveditorato OO.PP. nel 1964 nel suo schema di piano regionale, anche se va apprezzato che non sia stato incluso, come si fa generalmente, nel Basso Molise; lo differenzia da tale area, di primo acchito, il fatto che lo scivolamento verso il piano non avviene nella direzione della costa, bensì del territorio pugliese dove si accentua la forma tabulare del terreno.

Finora abbiamo parlato di S. Croce con l’avvertimento, però, che ci stavamo riferendo alle sue quote minori, in definitiva a Melanico. Si tratta di una contrada con un’estensione di circa 950 ettari che costituisce un falsopiano posto ad un’altitudine che va dai 150 ai 50 metri. È sempre stata una zona scarsamente popolata nonostante che nell’alto medioevo vi fosse un nucleo abitativo, dal quale si ipotizza deriva S. Croce, su Colle Alto proprio a ridosso di Melanico. A prescindere da questo insediamento la presenza umana storicamente qui è stata scarsa tanto che i benedettini decisero di impiantarvi una abbazia per colonizzare queste superfici terriere.

Quest’ordine religioso, si veda S. Vincenzo al Volturno, ha promosso la ripresa delle coltivazioni in territori un tempo inospitali e, del resto solo l’intervento di grandi organizzazioni, come fece poi l’Ente di Riforma, poteva promuovere la riconversione agricola in zone abbandonate e soggette ad allagamenti. La Badia di Melanico la si riconosce in un grande fabbricato a corte, poi diventato una fattoria dove è ben distinguibile nella facciata di una rimessa l’immagine della cappella; il grande pozzo che non a caso sta all’esterno è un po’ il simbolo dello sforzo fatto dai frati per dotare di infrastrutture il circondario.

Si è parlato di valore semantico per questo elemento del complesso monastico ed una carica emotiva comunica l’intero comprensorio. Se non si vuole scomodare la letteratura aulica e cioè Le Terre del Sacramento di Francesco Jovine si prendano i racconti di Donato del Galdo il quale ha partecipato alle lotte dei braccianti per la terra; incidentalmente si fa notare che S. Croce è stata chiamata a lungo la Stalingrado del Molise perché qui si è sviluppato un forte movimento bracciantile che si è riconosciuto nelle forze della sinistra.

Quello della rivendicazione del diritto di coltivare è stato l’oggetto di numerose rivolte fin dal 1860 quando la svolta «liberale» del nuovo Stato unitario abolì la consuetudine antica degli usi civici sui latifondi ecclesiastici passati in possesso della emergente classe borghese (la storia narrata ne Le Terre del Sacramento). È con la Riforma fondiaria del 1953 che cessarono i conflitti per la soppressione del latifondismo. Si ebbe un frazionamento di Melanico in 28 poderi, con delle dimensioni oscillanti tra i 6 e gli 8 ettari che vennero assegnati a braccianti, mezzadri e affittuari del luogo; ciascuno è collegato ad una casa colonica di 2 livelli costruita in mattoni.

Ai vecchi proprietari sono rimasti 700 ettari, un bel po’. Se la volontà politica era quella di mettere in valore terreni coltivabili che fino ad allora avevano prodotto solo rendita parassitaria i risultati non sono stati quelli sperati: si è continuato a praticare forme di agricoltura estensiva rimanendo l’indirizzo cerealicolo delle aziende, sia minime che grandi. Non è cambiato molto, salvo le tecniche colturali, dal 1815, cioè da poco dopo dell’abolizione della transumanza e quindi dall’utilizzo a pascolo di vaste lande, quando nel Catasto Onciario viene riportato che i tre quarti della superficie del comune era destinata ai seminativi.

Vi sono piccoli orti attigui alle dimore dei coloni e qualche limitato oliveto; le colture orticole non si potranno sviluppare se non si completano le infrastrutture irrigue alimentate dall’acqua trasportata dal bacino del Liscione alle piane contigue di Melanico e di Piano Palazzo nell’agro di Rotello, peraltro una sorta di travaso delle risorse idriche dall’invaso di Guardialfiera, cioè dal Biferno, al Fortore perché quelle del lago di Occhito sono appannaggio della Capitanata. Per il persistere di tale situazione S. Croce continua a meritarsi l’altro appellativo di «granaio del Molise». In mancanza di questa disponibilità di acqua si è fatto uso, ma essenzialmente per scopi domestici, di pozzi, uno per ogni casa.

In paesaggio, dunque, a seguito della Riforma non è cambiato di molto e se qualche cambiamento si è avuto esso è stato, comunque, abbastanza ridotto: la presenza di una strada di distribuzione dei lotti, le abitazioni degli assegnatari, tutte uguali, l’edificio scolastico che avrebbe dovuto fungere da centro civico ospitando al suo interno una cappella. Se qualcosa si nota di diverso rispetto al passato è la geometricità impressa al contesto visivo per via della linearità del percorso viario, la scansione regolare degli appezzamenti i quali sono dei rettangoli precisi distinguibili per la rotazione delle colture che si avvicendano in anni differenti tra un campo e l’altro, il passo costante che segue la distribuzione dei poderi i quali sono posti su un’unica direttrice con le dimore situate a intervalli definiti. L’appoderamento, comunque, non si distende in modo continuo, bensì in fasce, e non occupa l’intera area di Melanico per cui non è in grado di determinare un aggiornamento completo dell’immagine paesaggistica.

 

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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