Cemento armato e muratura non vanno a braccetto
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Diversi edifici realizzati prima delle normative tecniche che sono comparse a cominciare dagli anni 70 presentano tipologie costruttive miste, ciò non va a vantaggio della chiarezza del loro comportamento statico.
Le costruzioni miste muratura-cemento armato sono assai numerose anche nella nostra regione, tutte antecedenti agli anni 70-80 quando vengono varate le prime normative tecniche, non solo per le zone sismiche. Vi sono edifici nati proprio impiegando ambedue le tipologie costruttive, ma anche tanti fabbricati in muro portante che hanno subito sopraelevazioni nei quali è stato fatto uso del cemento armato. Per quanto riguarda questi ultimi si può parlare di un autentico «inquinamento» della struttura originaria. In ogni caso, sia che si tratti di manufatti realizzati di proposito con tecnologia mista sia che essa sia frutto di trasformazioni successive è evidente che viene a mancare la chiarezza nel comportamento statico, oltre che, ovviamente, a prodursi una minore efficienza strutturale.
Tra le costruzioni miste le più ricorrenti sono quelle nelle quali la muratura è posta all’esterno e il cemento armato, un certo numero di pilastri, all’interno; va segnalato, anche se nel Molise non se ne conoscono esemplari, che si possono trovare pilastri in acciaio invece che in calcestruzzo armato. La ragione di tale soluzione, cioè della eliminazione dei muri dentro le abitazioni, è la flessibilità nella distribuzione dell’alloggio; per quanto riguarda il perimetro è chiaro che il muro pieno, così come deve essere un muro portante, ha la capacità di conservare la temperatura della casa per via della sua inerzia termica, beninteso che le aperture siano limitate.
Passiamo ora, dopo la breve descrizione del mondo delle strutture miste, ad analizzare alcuni possibili accorgimenti finalizzati a migliorarne la staticità con la precisazione che si sta parlando di «miglioramento» e non di «adeguamento» per il quale è sempre necessaria la «valutazione della sicurezza», il discrimine tra le due categorie d’intervento. Rimanendo sempre alle norme è da aggiungere che si è consapevoli che nei calcoli di verifica non si tiene conto degli «elementi non strutturali», il cui contributo alla sicurezza, comunque, secondo la letteratura scientifica non è del tutto trascurabile.
Anzi, nei manuali tecnici le tamponature, gli elementi non strutturali citati, producono effetti benefici alla resistenza dell’organismo edilizio che, però, sono difficilmente quantificabili in termini numerici, per cui sono stati esclusi nei metodi di verifica previsti dalla legge. I divisori tra i vani dell’appartamento, a meno che non siano privi di consistenza, collegati saldamente ai pilastri in c.a. e all’involucro murario possono fornire un contributo significativo alla stabilità del corpo edilizio. Non è da trascurare l’ipotesi in un eventuale progetto di consolidamento di irrobustirli e di congiungerli in maniera decisa con le altre componenti della struttura.
In alternativa a ciò si potrebbe puntare all’inglobamento dei pilastri isolati in c.a. in pilastri più grandi in muratura, avvolgendo i primi con mattoni di un certo spessore ammorsati strettamente fra loro oppure ricoprendoli per intero in un grosso strato di calcestruzzo. Il nucleo del pilastro, quindi, rimarrà in cemento armato (o in acciaio nel caso di pilastri formati da profilati metallici) e sarà solidarizzato con malte aggrappanti alla massiccia scorza che lo viene a racchiudere. In definitiva, la funzione strutturale viene affidata all’insieme di mura fatto dalla robusta fodera, mattoni o calcestruzzo, e cemento armato racchiuso al suo interno riconducendo il pilastro ad un pilastro in muratura in modo da rendere omogeneo tale elemento al sistema strutturale prevalente che è quello in muratura (in genere, in questi edifici i pilastri sono pochi).
Nelle strutture in muratura il pilastro è ammesso, purché non sia «snello», cioè abbia uno spessore che, combinato con l’altezza, garantisca rispetto al problema del «carico di punta». Per scegliere quali opere di rinforzo effettuare, tra le quali vi sono quelle appena indicate, va, ad ogni modo, effettuata una lettura dell’impianto architettonico, utile ai fini dell’individuazione di criticità di carattere generale, che si richiede per qualsiasi edificio, a prescindere dalla tipologia costruttiva. Gli aspetti da analizzare sono la configurazione planimetrica e la successione delle piante lungo l’altezza: ciò che si ricerca è la regolarità sia in ogni piano sia nella sovrapposizione dei vari livelli, cioè in elevazione, e ciò per evitare effetti torsionali e di altra natura che si hanno quando vi è squilibrio.
Conta nell’elevato a questi fini la presenza di rastremazioni, mettiamo un attico, in sommità dell’edificio. Riprendendo il discorso delle tamponature in chiave strutturale è da dire che rappresenta un rischio, perché porta all’irregolarità della planimetria, la loro distribuzione asimmetrica. A condizione che tali muri di tamponatura siano solidali con le murature portanti e con i pilastri in cemento armato è necessario che essi siano distribuiti in maniera uniforme tanto nei singoli livelli quanto nei vari piani. Quello che va scongiurato è il problema del «piano soffice» il quale è determinato dalla presenza di un porticato o di un loggiato.
Tutto quanto finora esposto, lo si ripete, non è quanto richiede la normativa, ma solo un metodo di verifica preliminare che, comunque, ha una sua validità. Quello che impongono le norme è l’applicazione dell’«analisi non lineare», più complicata come modalità di calcolo dell’«analisi lineare» che, invece, è la prassi per le nuove costruzioni e ciò si giustifica per la complessità della tipologia costruttiva mista muratura-cemento armato. L’applicazione di quanto prescrivono le disposizioni tecniche oltre che doverosa è anche opportuna se si riflette sull’utilità che ha per la compilazione del Fascicolo del Fabbricato che dovrebbe avere quale presupposto la Valutazione della Sicurezza.
Tale Fascicolo permetterebbe la predisposizione di un piano di manutenzione, obbligatorio ora solo per i fabbricati che si vanno a costruire e non per l’esistente. Il piano suddetto che riguarda sia le componenti statiche che quelle funzionali e quelle impiantistiche è uno strumento indispensabile per garantire l’efficienza dell’edificio. È vero che spetta a un tecnico abilitato la conduzione del Fascicolo, ma contemporaneamente si assegna al proprietario un ruolo rilevante, non solo per l’esecuzione dei lavori quanto pure per il controllo delle condizioni del manufatto edilizio. Pertanto, seppure ancora facoltativo, esso rappresenta una tappa importante della cultura della sicurezza, soprattutto sismica.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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