Anche l’urbanistica in campo contro il sisma

di Franceso Manfredi-Selvaggi

Nei piani regolatori in base alla legge regionale sulla protezione civile ci deve essere una speciale considerazione per la minaccia rappresentata dai terremoti. Un adeguamento in chiave antisismica è indispensabile per la città esistente (Microzonazione di Ripalimosani)

Forse è necessaria una premessa, e per giunta ampia, prima di procedere alla riflessione sulle aree degradate. È da dire che da sempre l’uomo nella scelta dei luoghi nei quali ubicare i propri insediamenti ha tenuto conto dei pericoli dovuti a una pluralità di fattori, dall’incendio allontanandosi dal bosco, all’inondazione ponendosi sulle alture, alle frane evitando i versanti in dissesto; anche la legislazione urbanistica, nel tempo, ne ha tenuto conto nel valutare l’idoneità dei luoghi. In altri termini vi è stata un’acquisizione progressiva nella normativa territoriale della consapevolezza dei vari rischi da considerare nella pianificazione.

La questione dei terremoti è entrata in gioco nella predisposizione dei piani regolatori solo al momento della classificazione del comune come zona sismica, in molti casi qui da noi negli anni duemila del secolo scorso. Non è, comunque, esclusivamente l’emanazione dei decreti di riconoscimento della sismicità di una zona a spingere ad una maggiore considerazione della sicurezza degli abitati, anche rispetto agli eventi tellurici, ma è, insieme a ciò, l’affermarsi, una volta diminuite le pressanti esigenze dei «bisogni primari» (che nel campo urbanistico sono la casa e le attrezzature scolastiche e sanitarie) di una maggiore attenzione a servizi in precedenza ritenuti di peso inferiore tra i quali vi è la protezione civile (la nostra legge regionale in materia è del 2000).

Detto diversamente non ci si accontenta più della quantità, richiedendo oggi qualità e la difesa dalle scosse telluriche diventa progressivamente una priorità tanto che i Comuni si dotano dei piani di emergenza. Insieme al finanziamento di opere specifiche come le aree di ricovero e di ammassamento, oltre che di primo soccorso ci si dota di un’apposita organizzazione predisposta a salvaguardare la popolazione e i beni. Ciò che costituisce il passo fondamentale, in verità ancora allo stato embrionale, è quello dell’adeguamento degli strumenti urbanistici alle esigenze della popolazione civile, in ossequio, peraltro, alla L.R. n. 10/2000 già citata.

L’urbanistica è la sede appropriata per ricomporre le diverse esigenze di una comunità, cioè della vita associata delle persone. La prevenzione antisimica a livello di PRG, in effetti, è stata finora poco considerata, l’unica precauzione imposta dalla normativa tecnica è stata quella relativa al rapporto tra altezze degli edifici e larghezza delle strade che è stata possibile applicare nelle nuove edificazioni. L’obiettivo da perseguire specie per tutto il resto dell’agglomerato è quello del riordino urbanistico teso a rendere sicuro l’aggregato edilizio.

I problemi maggiori sono quelli delle aree dove il costruito è sfuggito ad un definito disegno pianificatorio come gli interventi che si sono collocati nei cosiddetti «vuoti urbani» o nelle zone oggetto di «riclassificazione», una procedura in deroga agli strumenti urbanistici. In queste ultime è prevalso l’interesse dei proprietari dei terreni ai quali viene riconosciuto il diritto alla rendita fondiaria, a volte a scapito di una configurazione urbana compiuta. Si può così verificare la carenza di una viabilità di accesso a tali porzioni aggiunte all’agglomerazione insediativa frutto delle decisioni di piano, ribaltando la logica che deve presiedere ad una corretta pianificazione la quale secondo la legge principale in materia, la n. 1150 del 1942, è costituita dalla previsione della rete dei percorsi per il trasporto (ferroviario e carrabile) e della suddivisione del territorio in ambiti funzionali; in assenza di uno dei due elementi di cui è fatto il PRG, la viabilità, l’altro elemento, cioè la zona di espansione è priva di funzionalità.

La casistica, in verità, va oltre le Riclassificazioni e i Vuoti urbani comprendendo pure quelle parti dell’agro dove si registra una elevata densità di abitazioni con impropria destinazione d’uso, per questo aspetto spesso oggetto di Condono, fatto che ha imposto nel capoluogo regionale la «Perimetrazione degli Insediamenti Abusivi»: le amministrazioni comunali sono costrette ad inseguire la diffusione incontrollata delle residenze, realizzando le opere di urbanizzazione che includono pure le strade. C’è un altro nodo problematico connesso allo sviluppo disordinato delle costruzioni che è quello degli spazi pubblici i quali, quando previsti, si riducono proprio per l’estemporaneità della loro individuazione che avviene per un formale ossequio al decreto ministeriale sugli standard urbanistici, a particelle di superficie poco utilizzabile ai fini pubblici, se non marginali o addirittura residuali; al contrario le aree collettive dovrebbero avere un carattere di centralità trattandosi la città per antonomasia di un posto di integrazione sociale.

Occorre assicurare la loro accessibilità anche nell’ottica della protezione civile, specie nelle situazioni dove non vi sono soddisfacenti «vie di fuga», potendo diventare «aree di attesa» in occasione di emergenza, continuando, comunque, a svolgere la funzione loro assegnata di parcheggio o di impianto sportivo ai sensi dell’art. 3 del DM 1444/68 in «tempo di pace». È ovvio che tali zone deputate al rifugio durante gli eventi calamitosi, devono essere luoghi privi di pericoli, in particolare di tipo idrogeologico. Per la risoluzione delle criticità evidenziate lo strumento a disposizione per le aree descritte che appare quello maggiormente opportuno è il piano di Recupero.

Esso si giustifica in quanto siamo di fronte a degrado urbanistico, una delle tipologie di degrado indicate nella legge 457 del 1978. Può essere di iniziativa privata o pubblica non ritenendo opportuno e neanche possibile, ad ogni modo, che il recupero sia tutto pubblico; è auspicabile che vi sia uno scambio, per quanto fattibile, tra i proprietari e le istituzioni, locale e regionale quest’ultima allorché il piano di recupero non si limita ad essere un piano esecutivo, bensì porta a modifiche dello strumento urbanistico generale. L’intervento sulla città esistente che sarà sempre più la tematica urbanistica di fondo, una volta esaurita la grande spinta all’espansione dei decenni passati, dovrà, lo si ribadisce, avere al centro la preoccupazione della minimizzazione del Rischio sismico che aumenta con il crescere dell’Esposizione, quindi del numero di individui coinvolti che è molto forte negli ambiti urbani con elevata densità edilizia, una densità che si incrementa  anche per le azioni incongrue che stravolgono il piano urbanistico.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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