Differenti segni della religiosità nel percorso tra S. Maria delle Fratte e i ruderi di S. Nicola sul Matese
di Francesco Manfredi-Selvaggi
È un itinerario che si sviluppa nel territorio sanmassimese che ha tra i suoi elementi di interesse anche un «casino» signorile (Ph. F. Morgillo-Cappella di S. Maria delle Fratte)
I segni della religiosità in qualche modo rendono sacro lo spazio in cui sono collocati; tale sensazione, però, non la si prova quando si incontrano i resti del monastero di S. Nicola che la «guida rossa» del TCI data al XII secolo. Ciò, forse, per l’esiguità delle tracce (è visibile solo parzialmente un’abside) o, forse, per la leggenda la quale racconta che i monaci qui residenti taglieggiavano i viandanti costretti a passare lungo questo percorso, il più comodo per scavalcare il Matese. La tradizione orale narra che un cavaliere dell’Ordine di Malta fece voto di costruire una cappella alla Madonna se Lei lo avesse aiutato ad evitare i monaci-banditi. Scampato il pericolo il cavaliere mantenne la sua promessa e così si spiega la presenza della croce dell’Ordine di Malta sul bel portale gotico della cappella di S. Maria delle Fratte.
Che questo posto fosse un punto di passaggio obbligato è spiegabile anche per la presenza di una sorgente, vicino alla quale è sorto il monastero. Per comprendere l’importanza della Fonte di S. Nicola che è anche abbeveratoio va considerato che le montagne carsiche come il Matese sono povere di acque correnti superficiali per l’elevata permeabilità del terreno; l’acqua sgorga all’aria aperta dando origine ad una sorgente solo quando dopo essersi infiltrata nel sottosuolo trova uno strato di materiale impermeabile (argilla) che le impedisce di continuare la sua erosione della roccia calcarea (il processo erosivo è la causa del carsismo).
Questa sorgente è vitale per permettere il pascolo degli animali sui prati che si estendono nei dintorni. Si tratta di pascoli intermedi che consentono di allungare il periodo dell’alpeggio, senza i quali altrimenti la migrazione stagionale delle bestie sarebbe avvenuta direttamente tra il fondovalle e l’altopiano; ai primi freddi gli animali sarebbero dovuti ridiscendere in basso, nelle stalle, e così si sarebbe accentuato il problema, un tempo particolarmente gravoso, dell’approvvigionamento del fieno per l’inverno. La Fonte di S. Nicola è un punto obbligato di passaggio pure per l’escursionista che qui può riempire la sua borraccia.
Il percorso è quello che porta dal basso a Campitello, utilizzato da tutti prima della realizzazione della strada carrabile che è stata il presupposto per la nascita della stazione di sport invernali. Dalla piana l’itinerario prevedeva il passaggio per la citata cappella di S. Maria delle Fratte e proseguiva, dopo aver attraversato il Callora, per la località S. Maria Maddalena dove sorgeva un’altra chiesetta della quale rimane il ricordo solo nel toponimo. S. Maria delle Fratte, dedicata a S. Maria delle Grazie, è un edificio di culto importante, oltre che per l’aspetto architettonico (il portale di cui si è detto), in quanto qui la seconda domenica di settembre si svolge la principale festa del paese.
Dal centro abitato in processione si raggiunge il colle in cui vi è la cappella e qui avviene la celebrazione della messa solenne sull’altare in marmo intarsiato policromo con le insegne araldiche della famiglia feudale dei De Gennaro. Lo stemma all’ingresso è invece la caratteristica croce dell’Ordine di Malta, come si è ricordato, una organizzazione religiosa che si occupa dell’assistenza agli infermi. Tale Ordine ancora oggi gestisce ospedali, termine equivalente ad ospizio, ed ospizio doveva essere la funzione, al di là della leggenda narrata, di qualche struttura annessa alla chiesetta. La parola ospizio deriva da quella di ospitalità ed essa era probabilmente la finalità della presenza religiosa, ospitalità essendo un precetto cristiano, piuttosto che destinazione d’uso di tipo ospedaliero vero e proprio.
In definitiva, qui era assicurata l’accoglienza dei viandanti che si proponevano di raggiungere il versante opposto del massiccio del Matese ed, insieme, di quanti percorrevano il vicino tratturo, anche se non si può ritenere S. Maria delle Fratte, una delle cappelle tratturali. È da sottolineare che vi sono numerose iniziative ecclesiastiche tese a fornire servizi alla collettività poiché, al di là degli ospedali, vi sono le «opere pie» (ad es. quella dell’Annunziata a Venafro) e le congreghe (a S. Massimo prima della seconda guerra mondiale ne venne istituita una denominata del S.S. Rosario). Di norma le fondazioni ospedaliere si collocano lungo le maggiori vie di comunicazione così come i santuari; in qualche modo, seppure legata ad un culto locale meta di pellegrinaggio collettivo, la processione e non individuale, S. Maria delle Fratte lo è, perché i poli di attrazione religiosa preferiscono le strade più frequentate.
Vi è, poi, da considerare che le autorità ecclesiastiche hanno sempre teso ai fini dell’egemonia sul territorio ad esercitare un controllo sugli spostamenti; la posizione in cima alla collina, peraltro emergente da una distesa boschiva che gli fa da corona ben visibile dall’insediamento abitativo, ne fa un «segno» primario del paesaggio. Vi sono aspetti comuni con il Monastero di S. Nicola che sorge su un passaggio obbligato per il valico montano. La volontà di dominare percettivamente un vasto intorno territoriale la si coglie nella scelta localizzativa del prossimo “casino” signorile, analoga a quella dell’altro complesso agricolo che è sulla sommità dell’opposto colle del Masomartino.
Per quanto riguarda il casino in questione e sempre a proposito della tematica percettiva è interessante osservare che la costruzione segue l’andamento del pendio e ciò non è da poco se si tiene conto che la tipologia a corte si addice a zone pianeggianti. Il tipo architettonico prescelto ne dovrebbe soffrire producendo un fabbricato di rendimento minore dal punto di vista distributivo, ma ciò non avviene. L’anomalia dell’applicazione di un impianto a corte centrale in una situazione di terreno in pendenza è superata dalla diversa altezza dei corpi che lo compongono, inferiore quello che sta a valle.
Tipologie precostituite, quali quelle diffuse dai manuali tecnici di settore che sono servite da prototipi nelle costruzioni porterebbero ad una sostanziale uniformità delle soluzioni costruttive, quasi un’autodissoluzione dell’architettura la quale, invece, risulta avere un ruolo fondamentale nella progettazione dei «casini» presenti nell’agro sanmassimese, tutti e 3 a corte e tutti e 3 estremamente differenti l’uno dall’altro. Il suo innegabile valore di bene culturale stimola ad una visita del luogo oggi frequentato, come si conviene per i pellegrinaggi, il motivo esclusivo per i movimenti nel passato, insieme agli scambi, unicamente in occasione della processione annuale.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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