Castelpetroso, una chiesa davvero ecclettica
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Non nel senso che ha varie abilità, può cambiare dall’una all’altra, ma perché lo stile prescelto dal progettista nella sua ideazione è l’Ecclettismo Storicistico (Ph. F. Morgillo-Il Santuario di Castelpetroso)
L’architetto Gualandi a chi gli commissionava un’opera era abituato mostrare un campionario di modelli tra i quali scegliere, anche combinando fra loro alcuni di questi, quello preferito. Presso l’archivio del Comune di Castelpetroso è conservato il catalogo di proposte relativo a tali chiese formulate dal tecnico incaricato. L’atteggiamento del progettista è quello proprio dei fautori dell’Ecclettismo Storicistico, una corrente architettonica affermatasi nella seconda metà dell’800, i quali traevano, su impulso del committente, dal repertorio dell’architettura del passato gli esempi cui ispirarsi nel disegno del manufatto che erano chiamati a realizzare, arrivando financo a mischiare differenti stili nello stesso edificio.
Ciò è quanto successo qui. L’impronta più forte al fabbricato la dà il Gotico per la presenza dei tanti elementi verticali che connotano il prospetto. È un motivo peculiare dell’arte gotica i due campanili che affiancano la facciata nella quale sono ricompresi, cosa rara da noi dove le torri campanarie sono, non solo una sola, indipendenti figurativamente dalla stessa. Si tratta di campanili snelli il cui slancio verso l’alto, l’ossessione dei capimastri gotici, è accentuato da una terminazione piramidale assai aguzza. Oltre alla ricerca della verticalità nel Gotico si avverte pure una forte tensione alla smaterializzazione della struttura come si può riscontrare nello svuotamento delle pareti del campanile le quali sono forate da bifore che nella cella campanaria diventano di sagoma molto allungata.
Per quanto riguarda la spinta per l’elevazione essa è confermata dalle lesene che si prolungano al di là del fronte e si concludono con dei pinnacoli le quali ripartiscono il prospetto; le guglie le si ritrova pure in cima ai vertici dei triangoli che simulano una copertura a capanna posti al di sopra di portali d’ingresso i quali sono tre, perciò ad ogni piè sospinto. Sono, pinnacoli e guglie, motivi decorativi funzionali ad incrementare l’effetto di chiesa protesa in direzione del cielo, metaforicamente dell’Eterno. La perdita di consistenza della massa muraria di cui si è detto dovuta ad un dimensionamento “abnorme” delle bucature è consentita dall’assegnazione del ruolo di sostegno delle strutture voltate, siamo all’interno dell’edificio, a costoloni i quali sostituiscono il binomio pilastri-archi per sorreggere le volte, il dispositivo del periodo romanico.
I costoloni si affiancano alle pilastrature e innervano, partendo da terra, lo spazio. Pertanto quelli che potremmo scambiare per pilastri poligonali sono, in effetti, pilastri polilobati, detto diversamente pilastri circolari cui sono addossate tutt’intorno colonnine, ovvero cordolature. I costoloni distaccati dalla vela che dividono in spicchi costituiscono un’autentica novità introdotta dagli architetti, per così dire, gotici, una tecnica che rimane abbastanza sconosciuta dalle nostre parti. È un sistema costruttivo applicato da noi in rari casi, uno di questi è la chiesa di S. Giacomo a Pietracatella. Non vi erano maestranze capaci di simili lavorazioni per cui nella realtà molisana, con limitate eccezioni, rappresenta una vera e propria innovazione la capacità di far scaricare le forze, di far portare i pesi dalle costole sottili.
I costoloni sono in vista tanto nell’ambulacro quanto nella cupola la quale è ripartita in fette triangolari mediante tali nervature. Con la cupola si transita dalle influenze medievali a quelle rinascimentali perché essa è un tipico “prodotto” dell’architettura del Rinascimento. Essa è preceduta da un alto tamburo ampiamente finestrato, questa caratteristica è un esempio della passione del Gotico per la luminosità, ed è seguita da una lanterna anch’essa fonte di luce. Siamo passati dai caratteri stilistici gotici a quelli dell’Età della Rinascita, un vero salto epocale e artistico che non esaurisce comunque la significatività del santuario mariano in quanto bisogna tener conto insieme a quelli citati dei rimandi al Romanico.
Vi è un evidente richiamo all’architettura romanica molisana nella sovrapposizione ai portoni di accesso di lunette figurate le quali sono considerate tipiche della produzione architettonica ecclesiastica dell’era romanica nel Molise. Di rimando in rimando, le raffigurazioni contenute in tali lunette sono a mosaico, una tecnica di figurazione che è espressione peculiare dell’arte bizantina. La chiesa di Castelpetroso non si fa mancare niente, un po’, tanto, di Gotico, un po’, a sufficienza, di rinascimentale, un po’, poco, di Romanico, un po’, molto poco, di bizantino. Pertanto questo edificio di culto è a pieno titolo una testimonianza dell’Ecclettismo Storicistico.
Tale collage lascia in qualche modo interdetti: il prospetto dove vi sono tre portali strombati di cui quello centrale è il più grande cui corrisponde l’immancabile, rosone più grande, è tricuspidato. Tale fatto è un’anomalia in quanto nelle facciate delle chiese a tre navate alle quali sembra alludere, e illudere nel contempo, la tripartizione del fronte di coronamento è di regola triangolare, non vi è la ripartizione in più pezzi, in più triangoli; in corrispondenza del vertice superiore dell’unico triangolo vi è la navata centrale mentre per quelle laterali il profilo è a salienti. L’organizzazione voluta dal progettista dell’immagine frontale del santuario induce a credere che si tratti di un’architettura ecclesiastica a pianta longitudinale e ciò è lontano dal vero in quanto, invece, è a pianta centrale.
Planimetricamente alla zona coperta dalla cupola si affiancano sette cappelle ognuna dedicata a un dolore della Madonna Addolorata per cui l’impronta al suolo della nostra fabbrica religiosa ricorda un fiore con pistillo, la cupola, e corolla di petali, le cappelle. Per tale andamento mistilineo della pianta si viene a trattare di una tipologia architettonica che sarebbe incompatibile con un ambiente urbano il quale si suddivide, di frequente, in isolati regolari. Da qui, dall’incapacità di colloquiare con l’intorno costruito, è inevitabile l’isolamento in campagna di una simile opera.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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