Violenza giovanile, un fenomeno sempre più radicato

Muovere azioni per costruire ambienti sicuri e un percorso per intrecciare relazioni fatte di fiducia e rispetto

di Miriam Iacovantuono

Mentre in tutto il mondo il 13 novembre si celebrava la giornata della gentilezza, qualcuno subiva violenza. Ed è successo a Termoli, dove al Terminal bus, un ragazzo di 15 anni è stato preso a pugni da un ragazzo di qualche anno più grande. L’episodio è stato denunciato dalla mamma del quindicenne, operato al volto presso il nosocomio termolese.

Fatti che ormai sono all’ordine del giorno e quindi sempre più vicini e sempre più frequenti. Anche in Molise.

Negli ultimi mesi la cronaca nazionale ci ha messo davanti a una realtà piena di violenza. Una realtà che sembra essere anni luce lontana da quella gentilezza che in molti hanno celebrato con frasi e gesti garbati.

Morire per una scarpa costosa pestata. Venire picchiato per uno sguardo di troppo. Essere ferito con un coltello “per aver fatto la spia”. Motivi futili che però fanno catapultare in un realtà che va oltre l’empatia, la generosità, il rispetto, la pazienza, il riconoscimento. E là dove deve esserci il dialogo ecco che si insinua la prepotenza, la crudeltà.

Che fare?

L’Associazione Nazionale dei Pedagogisti Italiani – ANPE – che da sempre si impegna per la promozione del benessere e del supporto attraverso percorsi di educazione e sostegno ai giovani, evidenzia che è necessario un cambio di passo. Definisce il fenomeno della violenza giovanile un fatto sociale sempre più radicato nella collettività, per cui sono necessari interventi educativi urgenti.

A lanciare un ammonimento su tale fenomeno è la Presidente dell’ANPE, Maria Angela Grassi, che nello specifico sottolinea che “l’uso del coltello tra giovani e giovanissimi non può più essere sottovalutato”. Evidenzia come tale comportamento è sintomo di sofferenza. “Un disagio profondo – sottolinea – che nasce dall’assenza di punti di riferimento e dalla crescente disaffezione nei confronti delle istituzioni educative”.

Secondo la pedagogista “è essenziale che la scuola e la famiglia riprendano il loro ruolo centrale, diventando i primi luoghi di formazione alla cittadinanza e alla convivenza civile. La repressione, per quanto necessaria, non basta. Occorre un impegno concreto da parte delle istituzioni per attuare progetti di educazione emotiva e civica, così da fornire ai giovani gli strumenti per gestire le proprie emozioni, affrontando conflitti e frustrazioni senza ricorrere alla violenza”.

L’associazione evidenzia che è necessario capire da dove parte tanta rabbia sociale e quindi “aiutare i giovani a sviluppare competenze per gestire i conflitti”.

Quello che quindi serve è sicuramente un percorso che parta fin dall’infanzia. Per ogni bambino, per ogni ragazzo è necessario “offrire sostegno educativo, promuovere la legalità e coltivare valori come l’empatia e il rispetto per gli altri”.

È quindi necessario muovere azioni che portino questi giovani a frequentare ambienti sicuri. A creare luoghi dove sanno che possono essere ascoltati e quindi imparare a rispettare l’altro e mettersi nei panni dell’altro. Costruire un percorso per intrecciare relazioni fatte di fiducia e rispetto.

Se pensiamo che il Molise sia immune da tale fenomeno e che l’episodio successo a Termoli sia solo un fatto sporadico cadiamo in errore. Riavvolgendo il nastro dei fatti accaduti, la cronaca ci ricorda quanto successo lo scorso agosto quando a Campobasso un diciassettenne ha aggredito un giovane appena maggiorenne, provocandogli gravi lesioni. La baby gang formata da sei minorenni che aveva preso di mira un proprio compagno di scuola. E ancora la violenza subita da un uomo del Bangladesh per mano di quattro ragazzi di Campobasso tra i 15 e i 17 anni. Solo per ricordare qualche episodio.

E allora, come ogni azione che abbia un rimbombo sonoro è necessario tessere reti positive per creare una società migliore. Una comunità dove anche i tanti giovani afflitti da forte disagio, anche in Molise, possano trovare il loro posto sicuro e quindi essere tempestati di bene e gentilezza. Perché come diceva Pietro Ingrao “non violenza significa anche cose molto semplici ed essenziali come il rispetto degli altri”.

 

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