Torri, dalla destinazione militare a quella ornamentale
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Le strutture turriformi sono irriducibili agli usi moderni. Si sono sperimentate soluzioni originali in alcuni casi che si espongono di seguito. Bisogna dire due parole anche sulle torrette di nuova costruzione che abbelliscono i palazzi cui aderiscono (Ph. F. Morgillo-Il castello di Torella con le sue torri più alte delle pareti dell’edificio)
Per le torri è più difficile trovare una nuova funzione. Ciò specialmente quando sono manufatti sì collegati a un castello e però formanti corpi a sé, quando cioè sono tangenti al maniero, il cilindro, stiamo parlando di torri circolari, è ben definito. Quando invece le torri costituiscono protuberanze, più o meno protratte all’esterno della planimetria della struttura castellana, in genere in posizione angolare esse vengono ad essere estensione di uno dei suoi vani, per quanto detto prima quello che sta in un angolo. Tale locale avrà, di conseguenza, una parete curvilinea avendo inglobato la torre.
È quanto succede nel castello di Macchiagodena in cui non vi è uno specifico problema di rifunzionalizzazione dello spazio semicurvo nel quale è ricompresa la torre. Si tratta quella di cui abbiamo parlato di un torrione piuttosto che di una torre, ma nello stesso paese vi è anche una torretta che è attaccata ad un caseggiato sorto sulle mura medioevali; l’insieme torretta, la quale ha una superficie appena sufficiente per ospitare la scaletta che conduce al primo piano, e lo stabile collegato di due livelli forma una attrezzatura culturale polivalente, biblioteca e collezione museografica.
La più frequente destinazione d’uso attribuita alle piccole torri è stata quella di “stanzino di comodo” come si chiamavano un tempo i WC e molte torrette furono aggiunte ai palazzotti signorili nel XIX secolo, dunque non torri preesistenti bensì sopraggiunte, per creare dei gabinetti in case che prima di quel periodo quando fece la comparsa l’acqua corrente non esistevano. Fu data a tali minuscoli locali sopravvenuti la sembianza di torri con un richiamo esplicito ai palazzi baronali, un’immagine che nobilitava i possessori del fabbricato. Il passo da opera di servizio a opera ornamentale è stato breve.
In età contemporanea vi è una certa varietà di modi di reinterpretare le torri, non solamente a fini utilitaristi. Tra questi si cita, è il primo caso, la riproduzione idealizzata dell’ambiente in cui visse segregata Delicata Civerra alla quota terranea della torre Terzano di Campobasso. Il secondo caso è la trasformazione in studiolo d’artista per la pittrice Elena Ciamarra del piano sommitale della torre del castello di Torella la quale svetta sul resto dell’organismo architettonico, l’unico castello insieme a quello di Carpinone in cui vi sono torri che sopravanzano in altezza le pareti del mastio. Il terzo caso è quello della torre all’interno del castello di Vastogirardi, poligonale una configurazione geometrica che è un’autentica eccezione nel panorama delle costruzioni turriformi molisane, adattata a cellula abitativa; il riconoscimento del cambio d’uso è reso possibile dal decreto Salvacasa.
La torre “abitabile” ha un precedente nella torre di Casalvatico di Cercemaggiore la quale è un’utile pietra di paragone per diversi aspetti. Uno è il fatto che quest’ultima presenta più vani di un’unica abitazione, uno per piano, contro l’unità immobiliare che si sviluppa al piano terraneo del castello del centro altomolisano la quale consta di un solo locale. Il secondo è che essa è quadrangolare, quindi un poligono e ciò la accomuna a quella di Vastogirardi in cui, però, è maggiore il numero di lati, e la distingue dalla gran quantità delle torri della regione che sono cilindriche. Il terzo è che nella frazione di Cercemaggiore la torre sta isolata, non attigua ad un volume architettonico.
Il quarto è che mentre a Vastogirardi la torre ha assunto una funzione residenziale in seguito, non cioè al momento della sua edificazione a Caselvatico essa è sorta proprio come casa-torre. Lasciando questa numerazione e riprendendo la precedente dal numero in cui ci eravamo fermati vediamo il quarto caso che è quello della “torretta saracena” al confine tra Termoli e Petacciato sulla linea di costa diventata un ristorante; un impiego dell’opera che rischia di far perdere ad essa se non la propria dignità la propria identità, da corpo di fabbrica di carattere militare a artefatto destinato al diletto.
Il quinto caso è quello delle torrette in cui sono state ricavate scale a chiocciola, una combinazione ben riuscita tanto che anche in diversi fabbricati attuali tali tipi di scale vengono racchiusi in torricelle; un esempio si ha anche nell’800 nel casino Selvaggi posto nella piana di S. Massimo. Da tutto quanto sopra esposto non si deve, comunque, dedurre che le torri abbiano una notevole versatilità in quanto a ipotesi di rivitalizzazione. Non c’è niente tra le testimonianze delle ere antiche di più irriducibile alle esigenze funzionali della contemporaneità. Si tratta quelli elencati di episodi singolari, di soluzioni di riattamento originali, non riproducibili in serie, ogni torre è un caso, i casi descritti, a sé, molto dipende dal contesto in cui sono inserite.
C’è una resistenza intrinseca in una torre alla possibilità di alloggiamento nella sua cavità di attività moderne. Antichità versus modernità. Non è, poi, detto che le torri debbano essere necessariamente cave, ve ne sono tante che sono piene e ciò lo si rileva riscontrando sulla sua superficie di inviluppo l’assenza di aperture aeroilluminanti senza le quali non ci si può vivere dentro e anche di feritoie come quando le torri vengono a costituire corpi di guardia. Le antesignane illustri qui da noi di torri di quest’ultimo tipo sono quelle di Altilia che sono prive di bucature.
Francesco Manfredi Selvaggi639 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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