Residenze popolari, ma rurali
È quanto scaturisce dall’applicazione di una norma del Piano Casa regionale, ora soppressa e però valida per i progetti presentati antecedentemente alla modifica legislativa.
Nel campo dell’edilizia niente di più di quella popolare e, quindi, di quella sociale di cui all’art. 6 della normativa regionale sul Piano Casa è legato all’urbanistica. Infatti, nell’ordinamento italiano l’organizzazione dell’intervento pubblico in materia residenziale per le classi meno abbienti è basato sulla predisposizione dei Piani di Zona che risalgono alla legge fondamentale di questo settore che è del 1962, la n. 167. In tali piani, i PEEP, oltre alle case devono essere previste le opere di urbanizzazione sia primarie sia secondarie le quali garantiscono la qualità dell’abitare per cui non sono sufficienti i semplici alloggi, bensì necessita una integrazione tra questi ultimi e le attrezzature collettive.
Nella precedente versione del Piano Casa regionale è vero che era consentita l’edificazione di Social Housing in ambito agricolo, ma a condizione che si attuassero Programmi Integrati d’Intervento contenenti, evidentemente, le infrastrutture in grado di assicurare a coloro che sarebbero andati ad abitare nei nuovi complessi la fruizione dei servizi utili alla vita associata; con la L. R. n. 7 del 2015 essendo stata eliminata la facoltà di costruire in Zona E si è tolto l’obbligo dei Programmi citati il quale rimane valido, comunque, per tutte quelle proposte progettuali, a Termoli diverse decine, presentate antecedentemente all’aprile 2015 quando era ancora in vigore tale facoltà, poiché erano in itinere.
Non si è considerato in quanto casi rari, che esistono anche Zone F, nelle quali a seguito dell’aggiornamento della disposizione legislativa molisana non è più prescritta la predisposizione del Programma Integrato d’Intervento, che ricadono in area extraurbana: a Venafro vi è una Zona F individuata per la localizzazione, mai avvenuta, di un istituto agrario la cui ubicazione ottimale è proprio in vicinanza dei campi. Pensare di costruire nell’agro strutture abitative dedicate, peraltro a persone con livelli di reddito bassi che non scelgono di vivere in campagna per qualche desiderio della dimensione agreste come fanno quanti inseguono il sogno della villetta unifamiliare, i quali hanno, di certo, maggiori disponibilità economiche, significa misurarsi con il tema dell’infrastrutturazione.
Il primo punto di cui tener conto nella scelta del sito è quello della collocazione all’interno dei cosiddetti raggi di influenza delle attrezzature a uso pubblico presenti intorno, i quali variano a seconda se si tratti di scuole, di impianti sportivi, ecc. Non applicabile per le iniziative edificatorie nel comprensorio agrario che vogliono usufruire delle premialità del Piano Casa nella stesura del Programma Integrato il ragionamento che tante volte si fa nelle lottizzazioni estese ad appezzamenti minimi, anche determinate da provvedimenti di «riclassificazione urbanistica». Ciò perché spesso le superfici a «standards» vengono a costituire ritagli scarsamente utilizzabili.
Insediamenti di ridotte dimensioni quali quelli presentati ai sensi dell’art. 6 del nostro Piano Casa portano ad una previsione di aree per attrezzature al di sotto di quelle giudicate opportune pure per una singola attrezzatura. Siamo molto lontani per questi interventi costruttivi da quella «dimensione conforme» teorizzata dal famoso architetto Le Courbusier! Ciò vale specie per le scuole e per le strutture sportive che qualora si dovessero necessariamente edificare in quel posto e sempre a condizione che si stia di fronte a proposte di complessi residenziali consistenti, cioè per un cospicuo numero di abitanti, verrebbero ad occupare tutta la quantità di area da lasciare a standards.
Solo le quote dei parcheggi e del verde attrezzato mancano delle soglie minime non trattandosi di attrezzature tipo logicamente predefinite sono soddisfatte facilmente, in ogni situazione, e ciò rischia di spingere il costruttore a pur di soddisfare quanto dispone il decreto sugli «standards urbanistici», a utilizzare tutta la superficie, che deriva dal calcolo degli abitanti da insediare in base a detto decreto a tali fini. In definitiva, si tende a scegliere la soluzione più facile e ciò è ammissibile se si sta nei pressi del perimetro cittadino dove è possibile cercare la complementarietà con i servizi lì presenti, oppure se si è nelle vicinanze di altre lottizzazioni perequare le destinazioni ad attrezzature fra i vari ambiti.
Quando si è distanti dall’abitato è opportuno definire spazi o locali per il tempo libero la cui frequentazione in comune favorisce l’aggregazione fra gli individui, una delle finalità principali del social housing; favorire i rapporti di vicinato significa ricreare anche se si è lontani dal borgo o dalla città un minimo di socialità che è, poi, il fatto identificativo delle entità urbane a qualsiasi scala. Altrimenti questi interventi costruttivi si avvicinano all’immagine, fatte le debite proporzioni, a quegli agglomerati denominati quartieri-dormitorio. Rispetto a questi ultimi che, comunque, sono inseriti nella sfera urbana, serviti dalle linee di comunicazione cittadini, le nuove iniziative insediative, in particolare quelle ad una considerevole distanza dal centro della città, soffrono dell’assenza del trasporto pubblico.
Se non vi sono collegamenti mediante mezzi collettivi, allora si è costretti a ricorrere all’auto privata, indispensabile per chiunque sceglie di dimorare fuori dell’agglomerato urbano inseguendo il sogno americano delle priarie houses. Siamo, da un po’, nell’epoca dell’esplosione motoristica e l’impiego eccessivo della macchina provoca, per i plurimi movimenti giornalieri tra casa, lavoro e servizi, la congestione del cuore degli abitati. Più ecologico sarebbe il privilegiare gli spostamenti a piedi o in bicicletta, auspicabilmente seguendo percorsi protetti, del tipo piste ciclabili, se non eccessivamente lunghi, è chiaro. Finora si è fatto un discorso di carattere generale che andrebbe articolato in relazione alle differenti conformazioni territoriali.
È arduo definire con sicurezza cosa sia oggi il territorio rurale, quali siano i confini che lo separano dalla città. Nello spazio extraurbano spesso si attenuano, a tratti in modo confuso, o si sovrappongono, pure in tale caso in maniera incerta, una pluralità di episodi, dalla dimora rurale alla villetta ai capannoni produttivi al centro commerciale, fino alla discoteca al bowling alle strutture per lo sport al cimitero il quale con la sua fascia di rispetto viene a determinare una cesura nello sviluppo edilizio. I progetti di interventi edificatori ex art. 6 L. R. sul Piano Casa si devono confrontare con il comprensorio circostante anche allo scopo di definire i servizi dei quali dotarsi.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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