Gli anni 60, mitici, ma non per l’attenzione al paesaggio

Ne è stata fatta di strada nel campo della tutela dal periodo del boom economico ad oggi.

Fino agli anni 70, pur essendo la legge sulle «bellezze naturali» del periodo fascista, non vi erano vincoli paesaggistici nel Molise e, del resto, erano rari in tutta la Penisola (interessando solo le località rinomate, come ad esempio il lago di Garda). Il primo vincolo è proprio del 1970 e riguarda la costa; ne seguiranno altri nel ’74, è il caso di quello del Matese, e nel 1977 in coincidenza con il passaggio delle competenze sulla tutela alla Regioni, con una progressiva estensione delle zone vincolate la quale, però, non arriverà a coprire l’intero ambito regionale.

Il territorio molisano in precedenza non era soggetto ad alcuna forma di controllo, non solo paesistico. Infatti, anche dal punto di vista urbanistico bisognerà aspettare il decennio tra il ’70 e l’’80 per l’avvio della regolamentazione territoriale, nonostante che la legge istitutiva dei piani sia del 1942, sempre di epoca fascista, dunque di oltre 30 anni prima. C’è voluta la spinta della cosiddetta legge-ponte che è del 1967 per convincere le amministrazioni comunali molisane a varare gli strumenti urbanistici, senza i quali in base a tale disposizione legislativa non sarebbero state possibili nuove edificazioni.

In verità lo sforzo compiuto dai nostri Comuni non è stato enorme poiché ci si è limitati a redigere Programmi di Fabbricazione prevalentemente, invece di elaborare Piani Regolatori Generali, documento ben più significativo. Il 1970 è una data importante pure per un’altra ragione che è l’inizio dell’autonomia regionale. Fino ad allora l’unica legislazione esistente era quella statale la quale evidentemente si muoveva su una scala nazionale: il problema principale in Italia a quel tempo (ed è) quello della crescita disordinata delle periferie, non unicamente nei centri maggiori o in quelli del Nord dove si erano trasferite masse consistenti di meridionali.

Collegate a queste vi erano altre questioni spinose, dalla speculazione edilizia all’intasamento automobilistico delle città. L’obbligo della pianificazione imposto dalla già citata legge-ponte è legato alla necessità di fronteggiare le minacce di alterazione degli insediamenti abitativi conseguenze dello sviluppo industriale. Nessuno nell’età del «boom economico» si sarebbe sognato di opporsi all’installazione di una fabbrica che porta posti di lavoro seppure possa guastare il paesaggio e financo se causa inquinamento. Vi è il mito di un progresso che fa tutt’uno con la crescita produttiva.

Che non bastino i PdF, i quali hanno quale campo di applicazione fondamentalmente gli agglomerati urbani, senza alcuna incidenza sull’agro rurale, ma che necessitino i PRG risulta evidente se si pensa a come sono cambiate le campagne sia perché invase da capannoni, tanto a destinazione zootecnica quanto per rimessa di prodotti o mezzi agricoli sia in quanto sedi privilegiate, in epoca più tarda, di discoteche o centri commerciali.

Vi sono, poi, le trasformazioni delle zone extraurbane provocate dall’esplosione proprio negli anni Settanta del fenomeno del turismo di massa legato all’aumento del tempo libero legato, a sua volta, alla nuova tipologia di lavoro che è il lavoro dipendente e legato, infine, all’affermarsi della motorizzazione privata la quale ha portato alla costruzione delle arterie moderne che permettono di raggiungere stazioni sciistiche, prendi Campitello, dunque località montane oppure posti di villeggiatura marina, anche assai reconditi, sul litorale adriatico, si pensi a Campomarino.

Sia il centro turistico estivo che quello invernale sono del ’70; essi hanno comportato la “cementificazione” delle aree più belle del Molise che è avvenuta per compiacere il nascente e irrefrenabile impulso al consumismo. Non sono stati risparmiati, prima della legge-ponte che qui ammette unicamente ristrutturazioni, neanche qualche borgo collinare pittoresco il cui skyline è stato alterato da volumetrie ingombranti, vedesi ciò che è accaduto lungo l’imponente scalinata di via S. Nicola a Trivento dove a circa metà della stessa un antico fabbricato è stato sostituito da una «palazzina» pluriplano del tutto anonima.

Non si riesce a credere che la gente, compreso uomini di cultura, non si rendessero conto della banalità estetica della produzione architettonica corrente, solamente si prediligeva il fatto che quelle brutte case fossero più comode da vivere. Manco tanto, peraltro, funzionali considerato che i loro autori erano in genere geometri, anche per via dello scarso numero di architetti nel passato (Pacancoski e Antonelli a Campobasso, Gentile a Boiano, Coppola a Isernia e pochi altri).

Le ragioni dell’apprezzamento della modernità nel settore costruttivo sono molteplici e, fondamentalmente, per le persone uscite dagli eventi bellici della seconda guerra mondiale c’è il desiderio di rinnovamento in ogni campo, di rinascita. Per i ceti subalterni si aggiunge la volontà di sfuggire la miseria contadina e l’appartamento in condominio, di norma periferico, viene a rappresentare una sorta di ascesa sociale. Attraverso le riviste illustrate popolari e i primi programmi televisivi, di frequente viste al bar, entrano nell’immaginario collettivo anche nei paesi più piccoli e isolati visioni della vita cittadina nelle quali si idealizzano pure i quartieri delle case popolari.

Vi è un processo di omologazione culturale che investe, in maniera indistinta, qualsiasi angolo del paese e in nome del mutamento si distrugge o si compromette il patrimonio edilizio tradizionale. Non è che oggi le cose vadano tanto meglio poiché se è vero che adesso i borghesi, piccoli, medio o «alti» che siano, ricercano, specie per farne una seconda casa, quelle dimore contadine che prima disprezzavano, per essi sono diventate oggetti esotici piuttosto che beni culturali. Attraverso i lavori di ristrutturazione si tende ad imitare le più trendy, costruzioni agricole della Toscana o dell’Umbria, adottando così nei rifacimenti dei poveri fabbricati campagnoli molisani stilemi architettonici (tipo le riquadrature con mattoni a faccia vista delle aperture) in uso nella parte centrale dell’Italia e ciò produce un effetto di falsità.

È sembrato doveroso fare questa sottolineatura, ma ora proseguiamo il nostro discorso sull’atteggiamento che prevaleva prima rispetto al paesaggio e, questa volta, nell’accezione di ambiente. Quest’ultimo, in particolare nelle zone industrializzate, è diventato un problema negli ultimi decenni attirando in tal modo l’attenzione su di sé e ciò ha rappresentato anche una spinta per incrementare l’interesse verso il paesaggio. La legge Galasso che è del 1985 porta definitivamente a conclusione questo percorso di avvicinamento tra valori ambientali e paesaggistici sancendo il loro legame indissolubile: i piani paesistici che sono contenuti in questa normativa e che le Regioni sono obbligate a redigere (e il Molise adempì nel 1991) tutelano accanto agli aspetti storico-culturali quelli ecologici e con essi si entra in una nuova era del governo del territorio che fa sembrare tanto lontano il mondo degli anni 70.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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