Un paesaggio instabile
di Francesco Manfredi-Selvaggi
I criteri della pericolosità geologica contenuti nel piano paesistico differiscono da quelli del Piano di Assetto Idrogeologico il quale è più recente e quindi dotato di dati aggiornati.
Non è che i criteri fissati dai nostri piani paesistici per individuare le zone con probabilità di dissesto sono sbagliati, ma il fatto è che essi sono utili per avvisare, essendo frutto di analisi estese ad ambiti vasti, della propensione frana, mentre per delimitare in modo preciso le aree pericolose (sempre ristrette come dimostra il censimento dell’IFFI dal quale emerge che qui da noi i fenomeni franosi sono estesi in genere un ettaro) occorrono indagini di dettaglio.
Altrimenti si rimane in un campo ipotetico. I redattori della pianificazione paesaggistica molisana si muovevano, va premesso, in quel lontano 1989 senza alcun riferimento a direttive nazionali mancando fino ad allora indicazioni ufficiali in grado di uniformare le metodologie da applicare per riconoscere il rischio idrogeologico. Eravamo ancora in una fase embrionale e a far pensare ciò è lo scarso approfondimento del secondo dei due componenti del dissesto idrogeologico, il rischio idraulico. I piani si limitano a imporre una fascia di rispetto dai fiumi di 150 metri se sono per la salvaguardia del paesaggio perifluviale non garantiscono, di certo, rispetto alle alluvioni che abitualmente le travalicano.
È come se questi strumenti pianificatori avessero più interesse per le colline dove, è risaputo, si hanno manifestazioni franose che alla pianura la quale è tipicamente soggetta alle inondazioni; in qualche modo le frane sono le forme di dissesto se non più preoccupanti, più frequenti, perché il Molise è prevalentemente collinare e, però, ciò non significa che sia ammissibile trascurare l’alluvionabilità in quanto nei fondovalle pianeggianti trovano sede le principali infrastrutture viarie e le piane, sia interne, sia costiere, lo spazio privilegiato per l’espansione urbana e per la localizzazione di industrie.
Inoltre va considerato che sulla costa la terra è molto feconda proprio perché sta in piano e l’inondazione compromette il raccolto dei suoi frutti, mentre le frane sono deleterie per i centri abitati e le strade e meno per la campagna che alle quote collinari spesso è coltivata in modo estensivo. È da dire, che pure la delimitazione degli ambiti di pianificazione paesaggistica rivela poca attenzione alla tematica della difesa del suolo se è vero che nei medesimi anni prende avvio la pianificazione dei bacini idrografici che non coincidono con quelli dei piani paesaggistici a seguito della legge nazionale sulla «difesa del suolo», la n. 183 del 1989, lo stesso anno della legge regionale sulla pianificazione del paesaggio.
Il coordinatore dei piani paesistici della regione Molise prof. G. Nigro con apposita circolare fornì indicazioni ai gruppi di progettazione tra i quali quelli in materia geologica. Per la franosità vennero indicati alcuni fattori predisponenti di carattere generale che non potevano sicuramente, per economicità di lavoro, racchiuderli tutti, tralasciando perciò quelli ritenuti meno significativi, dalla presenza di faglie all’infiltrazione delle acque meteoriche con conseguente innalzamento dei livelli piezometrici, specie con l’attivazione della spinta idrostatica sui terreni.
Si stabilì una graduatoria della pericolosità basata sulla compresenza di tali fattori: se vi sono, tutti e 4 (sono 4 i fattori prestabiliti) allora la pericolosità è di grado eccezionale, se ve ne sono 3 si ha una pericolosità elevata e così via. Se è pur vero che nella gran parte dei casi scatenanti un evento franoso agiscono congiuntamente per l’interazione reciproca non è da scartare l’eventualità che sia una sola di esse, in determinate situazioni, a provocare l’instabilità del suolo; in altri termini, la pericolosità «eccezionale» può essere il frutto di uno solo dei 4 fattori ritenuti pericolosi dal piano paesistico e non degli altri 3.
La valutazione di quali siano le condizioni (morfologia, l’acclività, pedologiche, la vegetazione, fisiche, i sismi, geologiche, le «formazioni») che determinano il dissesto è, peraltro, importante per la predisposizione dei rimedi da porre in essere, faccende di cui non si occupano i piani paesistici. Per quanto riguarda quest’ultimo punto è da sottolineare che l’uomo per debellare il pericolo frane può influenzare la pendenza del versante modellando il terreno (lo si è fatto nella ricostruzione della fondovalle Ingotte), la copertura vegetale (tanti rimboschimenti di conifere eseguiti in passato), l’idrologia (innanzitutto con difesa spondale e briglie).
A favore dell’impostazione adottata nella pianificazione paesaggistica vigente vi è la constatazione che il dissesto idrogeologico nel Molise è costituito prevalentemente da fenomeni franosi complessi nei quali, quindi, è difficile riconoscere l’agente primario che li ha innescati; senza dubbio vi sono sempre ragioni gravitative tra le concause delle frane per cui è arduo immaginare che la perdita di stabilità del terreno possa essere spiegata dalla circostanza che esso si presenti denudato oppure che il sottosuolo abbia caratteristiche meccaniche scadenti, due dei fattori che nella lettura che ne fa questo strumento pianificatorio la provocano.
Appare trascurato nei piani paesistici (anche se non da tutti) nel determinare la pericolosità geologica il tema della probabilità di accadimento di una frana. Esso è, invece, presente nei Piani di Assetto Idrogeologico i quali prima di illustrare ciò, è necessario premettere, da un lato, che esplicitamente nei PAI è dichiarato che sono stati consultati i piani paesistici, e, dall’altro lato che essi sono estesi all’intero territorio regionale, sommando i PAI coincidenti con l’ambito del bacino interregionale del Biferno, Trigno e Fortore con quelli equivalenti del bacino del Sangro e del Volturno dove si chiama Piano Stralcio Difesa Idrogeologica, al contrario dei piani paesistici che riguardano il 60% del Molise.
Passando all’illustrazione annunciata è necessario introdurre il concetto informatore della pericolosità del PAI che è fondato sul dato che le frane di, per così dire, riattivazione, reinneschi di vecchie frane, sono numericamente assai superiori a quelle che avvengono in siti in precedenza non interessati da scoscendimenti, cioè di nuova generazione. Se si tralasciano le frane ancora in attività, vi sono i fenomeni franosi quiescenti per i quali nel PAI sono fissati 2 “tempi di ritorno” per la probabilità che si riattivano, non inferiore a 100 anni, l’altro al di sopra di questa soglia temporale. I progressi della scienza anche nel settore della difesa del suolo vanno ben tenuti presenti per cui nella riformulazione dei piani paesistici le nuove acquisizioni sulla pericolosità geologica vanno ben tenute di conto.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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