Cimitero: opera civile o religiosa?

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Prima si seppelliva nelle chiese dentro l’abitato, poi in campagna per non compromettere la salubrità dell’aria. Rimane, comunque, un luogo di culto.

Un cimitero non è un fatto qualsiasi nell’organizzazione territoriale; non si può rapportare alle altre componenti insediative che si collocano nell’agro. Niente a che vedere come “ingombro” psicologico più che fisico con zone produttive e attrezzature sportive, tantomeno con discariche e cave. Mentre le altre cose nel tempo possono cambiare, trasformarsi seguendo l’evolversi delle esigenze della società, il cimitero no è immutabile, per qualche verso richiamando il suo essere duraturo l’eternità della vita ultraterrena. È una visione stonata il cimitero ormai in disuso che si scorge dalla superstrada in prossimità dello svincolo di Macchia d’Isernia circondato com’è da attività commerciali.

Deve essere, di certo, un’immagine che disturba specie a chi vive in quel paese, perché esso costituisce un punto di riferimento innanzitutto emotivo nel territorio. È da escludere, comunque, che vi siano ragioni antropologiche in tale modo di sentire in quanto l’origine dei cimiteri non è così antica, risalenti qui da noi alla seconda metà del XIX secolo. I precedenti sono remotissimi e vanno ricercati nell’altissimo medioevo (le tombe bulgare di località Vicenne a Campochiaro) se non nell’VIII secolo a.C. con le necropoli addirittura pre-sannite (per citarne una, quella di Guasto a Castelpetroso).

Queste ultime stanno, generalmente, lungo i tratturi percorsi in quell’era da popolazioni semi-nomadi che nei loro spostamenti hanno quale unico luogo di sosta fisso proprio il sepolcreto; è la «città di morti» che precede la «città dei vivi» (Lewis Mumford) la quale nel Sannio comparirà molto tardi, con la dominazione romana. Un discorso a parte meriterebbero le strade, non più le piste tratturali, che conducono ai cimiteri: in tantissimi casi essi sono in contatto con strade importanti (Venafro la statale per Cassino, Campobasso per Foggia, Boiano la S.S. 17, e così via, per limitarci a 3 centri grandi), ma vi sono pure situazioni nelle quali il cimitero è servito da viabilità minore (Cantalupo, Spinete, ecc.).

È, indubbiamente, più difficile che un tracciato viario di grande percorrenza possa permettere il raccoglimento necessario a coloro che partecipano a cortei funebri seguendo il feretro, garantendo una maggiore intimità e coinvolgimento nell’evento le arterie secondarie. A S. Massimo l’arrivo all’ingresso del camposanto che sta su un collegamento stradale interno è preceduto da alcune edicole, alla stregua di una Via Crucis; nello stesso comune la processione del Venerdì Santo si svolge proprio lungo il percorso che porta al cimitero, lo stesso, per capirci, che segue il funerale.

Con ciò si vuol dire che, spesso, il valore simbolico lo ha sia il cimitero sia la via che conduce ad esso. Va detto, inoltre, per quanto riguarda sempre la localizzazione, il cimitero innanzitutto per consentire alle persone, non solo in occasione dell’accompagnamento del defunto, di raggiungerlo facilmente a piedi (è vero che oggi ci sono le auto) non sta troppo lontano dall’abitato. Neanche troppo vicino per la soggezione che esso incute a chi si trova ad abitare in prossimità.

Sarà questa, insieme a quella igienica, la ratio della norma riguardante la fascia di rispetto la cui ampia variabilità, da m. 200 a m. 50, è in dipendenza della collocazione nel territorio: se il cimitero è in altura allora è prevedibile che i miasmi si disperdano nell’aria e, quindi, è ammissibile la riduzione della fascia, mentre se è in una pianura i venti possono portare gli effluvi nelle abitazioni vicine. Qualora, poi, le case sono poste a quote più elevate rispetto a quella del cimitero si può avere l’intrusione visiva all’interno dello stesso che non è piacevole da parte di chi si affaccia da quelle abitazioni; se, invece, gli edifici stanno sulla medesima curva di livello allora è il muro, il quale è l’elemento distintivo del cimitero capace di renderlo impenetrabile, a impedire la visione.

È da osservare che le mura che cingono un cimitero sono diventate in alcuni casi, vedi Isernia, molto alte perché esso cresce in altezza di un altro “piano”, servito quest’ultimo da un ballatoio; si rende necessaria tale soluzione proprio quando non si può restringere la fascia di rispetto la quale non può essere inferiore a 50 metri. Nella nostra regione, ulteriore annotazione, non esistono Comuni che, pur prevedendo nello strumento urbanistico una crescita demografica consistente, come si usava qualche decennio fa, non hanno inserito nello stesso l’ampliamento dell’area cimiteriale, come se ad un aumento dei vivi non dovesse corrispondere un numero equivalente di morti (è ben vero comunque che i PRG ed i PdF durano 10 anni, arco temporale in cui è difficile fare un bilancio tra natalità e mortalità); è ovvio che la superficie destinata all’espansione del cimitero è cosa diversa dalla fascia di rispetto la quale si somma alla prima.

Al posto dell’incremento dell’estensione del cimitero, tanto in sede di redazione del piano regolatore quanto nella situazione in cui si rivela insufficiente quello attuale, ma non vi sono margini fisici per ingrandirlo, succede che esso si sdoppi. Non vi sono esempi a livello regionale di due cimiteri nello stesso ambito comunale ambedue in funzione se non quando il Comune è articolato in frazioni come succede a Cerro al Volturno dove in ciascuna di esse vi è un cimitero oppure a Boiano con i cimiteri delle borgate Monteverde e Civita Superiore; vi è, pure, il caso di cimiteri ormai abbandonati e quale esempio si nominano quelli, oltre a quello già citato di Macchia d’Isernia, di Campochiaro vicino alla chiesa parrocchiale e di S. Onofrio a Ferrazzano, ambedue altamente suggestivi, tali ultimi due spingono a ricordare che non è infrequente imbattersi in cimiteri adiacenti ad edifici religiosi, da quello di Trivento che è a lato dell’antico convento di S. Antonio a quello di Campobasso attaccato al cinquecentesco monastero di S. Giovanni dei Gelsi.

È particolarmente significativa la vicinanza denunciata perché ci mostra il legame delle sepolture con i luoghi di culto, diventando esse stesse un fatto spirituale e non laico, simile alle altre opere igieniche (da cui gli alberi che servono per la salubrità dell’aria oggi tolti per saturare lo spazio), che è nelle intenzioni del decreto napoleonico. Se è così non è accettabile che nei pressi sorgano discoteche, posti per il divertimento, ecc.. Dall’esposizione offerta si ricava che è un tema davvero difficile quello della pianificazione delle aree cimiteriali tante sono le questioni connesse.

Francesco Manfredi Selvaggi635 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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