In sanità dal politico al manager

di Francesco Manfredi-Selvaggi

È uno dei più importanti cambiamenti che si è avuto nell’amministrazione sanitaria

Verso la fine dello scorso millennio si affermano definitivamente le innovazioni che si erano andate delineando da un po’ di tempo prima e che fanno sentire, in qualche modo, superata l’epocale Riforma Sanitaria del ’78. Le novità maggiori che emergono sono la managerialità sempre più spinta nella gestione della sanità, l’”accreditamento” delle strutture private da parte del servizio sanitario e la possibilità dei malati di andarsi a curare fuori regione. Partiamo da quest’ultima che si fonda sul riconoscimento che il cittadino non è un “paziente”, bensì un “cliente” per cui ha diritto a scegliersi il luogo di cura, tanto all’interno della regione di residenza quanto all’esterno di essa, tanto pubblico quanto privato; ne deriva che non ha senso perseguire l’obiettivo dell’autosufficienza regionale, ma piuttosto l’integrazione tra l’offerta sanitaria di quella, la nostra regione con quella disponibile in altri territori, specie confinanti.

Per quanto riguarda la questione dei manager è evidente che, cresciute le aspettative della società in materia di salute, si accresce la complessità della organizzazione della sanità; lo rivela anche l’espressione introdotta di azienda sanitaria per denominare tale “macchina”. Gli aspetti gestionali acquistano notevole importanza per via dell’espansione della spesa. I conti, adesso, non coincidono solo con gli stipendi dell’apparato medico e la manutenzione degli edifici ospedalieri e simili in quanto incide molto nel bilancio l’acquisto di tecnologie biomedicali. L’evoluzione tecnologica è altrettanto significativa che quella organizzativa.

È da dire, innanzitutto, che, contrariamente a quanto accade in genere nel mondo del lavoro, la tecnologia nel campo sanitario non porta a rendere meno costose le prestazioni, bensì a far aumentare gli oneri economici. Dotarsi di attrezzature tecniche che, per via del costante avanzamento scientifico, vengono di frequente rese obsolescenti da nuovi, più aggiornati macchinari, da un lato migliora le cure, ma dall’altro richiede investimenti consistenti; a ciò vanno aggiunti gli oneri per i farmaci, frutto di una ricerca e di una sperimentazione onerosissima.

Si può parlare addirittura di una rivoluzione nell’assistenza sanitaria che è cominciata meno di mezzo secolo fa quando comparve la TAC e sofisticati apparati per la diagnostica e per gli esami di laboratorio. È rimasto da affrontare il primo punto enunciato sopra quando si sono elencati gli aspetti salienti del processo di modernizzazione avviatosi in questo comparto, quello delle strutture accreditate. Strutture accreditate ovvero strutture private: la percentuale sul totale della spesa sostenuta dal servizio sanitario italiano per rimborsi a tali strutture a seguito delle prestazioni erogate è di circa il 20% quale media nazionale (dati 2015) che in Lombardia raggiunge il massimo (28%), seguita dal Lazio e poi dal Molise dove è il 23% (valori che includono gli assistiti extraregionali.

Sempre in termini percentuali vediamo come si ripartisce questa spesa, che abbiamo visto ammontare qui da noi a quasi un quarto di quella complessiva, tra i vari comparti delle prestazioni assistenziali: il 40% sono ricoveri di tipo ospedaliero, mentre il 30% è rappresentato da quelli in centri residenziali e semiresidenziali i quali sono in forte incremento che in Italia sono maggiormente presenti a Nord e in Puglia e Molise. Ci stiamo riferendo, lo si ribadisce, al privato accreditato. Esso si trova a garantire pressoché in esclusiva l’offerta di riabilitazione e le prestazioni che esso fornisce sono pagate per il 40% direttamente dai cittadini, ci stiamo riferendo alla scala nazionale.

Alla medesima scala vediamo che la spesa, ancora per il 40% delle visite specialistiche e per il 23% degli accertamenti clinici è a carico delle persone, senza rimborso da parte del pubblico, le quali intendono avvalersi delle strutture con o senza accreditamento, magari per l’annoso problema delle liste di attesa, attualmente oggetto di un apposito provvedimento ministeriale. Probabilmente è la dilatazione dei tempi per la prenotazione delle visite a spingere tanti a rivolgersi al libero mercato il quale mostra un grande interesse, essendo avvantaggiato da tale situazione, verso il comparto della specialistica. Se ciò è vero ovunque è nella nostra regione in compagnia con le altre del Sud e con la Lombardia ed il Lazio che si ha lo sforamento in alto della media nazionale nel numero di ambulatori e laboratori con accreditamento.

Un’osservazione che se ne trae è che, visto il notevole ruolo che hanno assunto le strutture private nella sanità e considerando che esse sorgono preferibilmente dove la domanda è consistente, quindi negli ambiti più popolosi, a essere penalizzate sono le zone con minore densità demografica quali le cosiddette aree interne; si protesta, di solito, per l’insufficienza dei servizi sanitari, specie pubblici, utilizzando il temine malasanità, meno per la mancanza di equità, cioè di possibilità di accesso uguale ai centri che erogano prestazioni assistenziali.

Questa annotazione è valida a livello sub-regionale e pure a quello regionale, per capirci tra Agnone e Campobasso e tra il capoluogo regionale e i poli di riferimento più rinomati per i ricoveri ospedalieri. Se è vero che è fisiologica una certa mobilità verso mete esterne alla regione per patologie particolarmente rare e complicate non lo è il tasso di ospedalizzazione extraregionale che si registra nel Molise che è del 40% (il numero è tratto da statistiche del 2015) ben più elevato di quello nazionale, all’incirca l’11%, seguito da regioni sempre meridionali.

Si pone con forza, è evidente, nella programmazione della rete degli ospedali la necessità di analizzare gli spostamenti oltre i confini del Molise dei pazienti per definire in maniera compiuta l’offerta ospedaliera da determinarsi anche tenendo conto del contributo essenziale delle strutture private accreditate delle quali, specie la Neuromed, sono in grado di attrarre malati da fuori regione, se non da lontano dai comprensori regionali contermini per i servizi curativi di alta specializzazione che esse assicurano. Il lavoro da fare è tanto.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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