Domini collettivi, comunità e protezione ambientale
di Alfredo Incollingo
Anche il Molise ha un vasto demanio collettivo, costituito da terre comuni aperte al libero godimento in favore delle nostre comunità locali. Che si tratti di usi civici o di proprietà collettive, in senso stretto, i molisani hanno un ampio patrimonio boschivo e pascolativo da difendere. Lo racconta un volume, edito nel 2008 e pubblicato dalla casa editrice La scuola di Pitagora, dal titolo Molise. Usi civici e paesaggio, a cura di Carmine Gambardella, da consultare per conoscere l’estensione dei domini collettivi in tutti i comuni molisani.
Partendo da questi dati, è possibile riscoprire l’alto valore comunitario e ambientale degli assetti fondiari collettivi alla luce della più recente legislazione in materia. È indispensabile, però, fare un breve quadro normativo sul ruolo degli usi civici e delle proprietà collettive nella salvaguardia della natura. I domini collettivi, afferma la legge n. 168 del 20 novembre 2017 (“Norme in materia di domini collettivi”), sono ordinamenti giuridici primari delle «comunità originarie» (art. 1) ed «elementi fondamentali per la vita e lo sviluppo delle collettività locali» (co. a, art. 2). Si tratta di un riconoscimento straordinario, premiando i Legislatori che per decenni hanno sottolineato la modernità di istituzioni così antiche. Il richiamo al secondo articolo della nostra Costituzione (art. 1) le sottopone direttamente alla tutela della Repubblica italiana.
Riprendendo alcune disposizioni normative del passato, il Legislatore evidenzia anche il ruolo fondamentale degli assetti fondiari collettivi, gli usi civici in particolare, nella protezione ambientale e paesaggistica, essendo «strumenti primari per assicurare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale» (co. b, art. 2), «basi territoriali di istituzioni storiche di salvaguardia del patrimonio culturale e naturale» (co. d, art. 2) e «componenti stabili del sistema ambientale» (co. c, art. 2). Non dimentichiamoci l’aspetto più innovativo, legato alle fonti energetiche rinnovabili: fonti «di risorse rinnovabili da valorizzare ed utilizzare a beneficio delle collettività locali degli aventi diritto» (co. f, art. 2). Coloro che si occuparono della gestione delle aree montane, a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, furono i primi a individuare negli assetti fondiari collettivi istituzioni fondamentali per la tutela delle zone interne.
La legge n. 991 del 25 luglio 1952 individuò l’alto valore economico e ecologico delle comunità agro-pastorali, come già il regio decreto legislativo n. 3267 del 30 dicembre 1923 aveva fatto sottolineandolo a proposito della gestione dei patrimoni forestali (artt. 150 – 152). Le vicende giuridiche seguite alla promulgazione della ben nota legge n. 1766 del 16 giugno 1927 per il riordino degli usi civici ritardarono una seria riflessione sulla loro utilità ai fini della preservazione del paesaggio rurale italiano. Questo aspetto è stato rimarcato dalla recente normativa n. 168/2017: le proprietà collettive e gli usi civici sono considerati «strutture eco-paesistiche del paesaggio agro-silvo-pastorale nazionale» (co. e, art. 2).
Giuseppe Galasso, storico meridionalista e deputato repubblicano, fu il promotore politico della legge n. 341 dell’8 agosto 1985 (Legge Galasso), che annoverava «le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici» (co. h, art. 1) tra le terre sottoposte a vincolo ambientale. Come la legge n. 991/1952, anche la successiva normativa n. 97 del 31 gennaio 1994 dava risalto alle comunioni familiari montane e a tutti gli altri enti agro-pastorali. Il Legislatore ribadì le prescrizioni della Legge Galasso e sottolineò la necessità di rivalutarle «sia sotto il profilo produttivo, sia sotto quello della tutela ambientale» (art. 3). Nel Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, ovvero il decreto legislativo n. 490 del 29 ottobre 1999, venne ripresa questa intuizione, vincolando di nuovo le aree gravate da uso civico o assegnate alle Università Agrarie (co. h, art. 146).
Queste disposizioni furono successivamente riconfermate (co. h, art. 142) nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, ossia il decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004, conosciuto come Codice Urbani, dal nome del Ministro dei beni e delle attività culturali, il professore Giuliano Urbani.
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