La democrazia diretta partecipativa nelle amministrazioni comunali

di Umberto Berardo

La soluzione dei problemi che riguardano aspetti fondamentali della qualità della vita dell’intera cittadinanza non può essere cercata da nessuna amministrazione comunale né unicamente con delibere di giunta e neppure con risoluzioni del consiglio, ma chiamando prima la popolazione a un raffronto sulle questioni da risolvere e cercando poi un’espressione di parere in merito in assemblea e in casi limite attraverso un referendum consultivo. Quando sindaci e consiglieri comunali non sentono più la necessità di una relazione di confronto con i cittadini è del tutto evidente che il loro potere delegato è logorato da un verticismo che non ha più nulla di democratico.

Rispetto ai problemi legati ai servizi sanitari, alla cultura, alla rete scolastica, alla viabilità, ai trasporti, alle comunicazioni, al rispetto per il territorio e l’ambiente ci sono state amministrazioni comunali del tutto assenti nell’impegno per la rivendicazione di diritti ineliminabili dei cittadini su tali versanti. Purtroppo un po’ ovunque in Italia quest’assenza d’impegno e di rapporto costruttivo delle municipalità con la popolazione in assemblee pubbliche non è solo un’abitudine diffusissima, ma è ritenuta del tutto normale da chi pensa che l’unico rendiconto degli eletti in un consiglio comunale è quello del giudizio dei cittadini nella successiva tornata elettorale.

Prima di una decisione importante in realtà chiunque perde il contatto con i propri elettori senza sentire il loro parere su risoluzioni rilevanti che riguardano la vita della collettività dimostra di avere un’idea deviata del concetto di delega all’esercizio del potere legislativo ed esecutivo rischiando oltretutto di compiere talora, in solitudine o in un gruppo ristretto, errori madornali in buona o cattiva coscienza. Certo una tale prassi è impensabile su atti risolutivi di normale amministrazione, ma diventa prioritariamente utile, doverosa, assolutamente desiderabile e democraticamente auspicabile quando l’amministrazione comunale si occupa di temi controversi, discutibili e problematici.

Oltretutto tale consuetudine non è solo utile agli amministratori per acquisire pareri e idee nel merito delle materie da trattare, ma evita anche future contrapposizioni tra amministratori e cittadini. La verità è che sindaci e consiglieri comunali, invece di considerarli un apparato di contrapposizione, dovrebbero curare e promuovere i sistemi delle riunioni preconsiliari, delle petizioni popolari, delle assemblee pubbliche e in ultima analisi dei referendum consultivi. Aggiungiamo che tali forme di consultazione potrebbero e dovrebbero essere rivolte non solo ai residenti, ma allargate anche a quanti hanno lasciato i piccoli paesi per emigrare e vi rientrano sistematicamente con il cosiddetto turismo di ritorno.

Queste sono tecniche di quella che viene definita una democrazia diretta partecipativa dove il popolo conserva realmente quella sovranità garantita dall’art. 1 della Costituzione Italiana. Certo le modalità di organizzazione di un tale sistema devono essere studiate in maniera diversa per i piccoli borghi e per le grandi città. Per i primi ad esempio sarà sufficiente una sola assemblea pubblica, mentre per i grossi centri occorrerà convocare i cittadini a livello di quartieri o di circoscrizioni. A quanti potranno obiettare che, al di là delle tornate elettorali, tali pratiche non sono previste da alcuna norma rispondiamo semplicemente che non solo vanno sperimentate per le ragioni sopra enucleate, ma anche perché possano essere collaudate su richiesta dei cittadini per poi istituzionalizzarle per legge in una democrazia piena e responsabile.

In realtà nella stessa democrazia delegata il popolo, quando ricorrono gravi motivazioni accertate, dovrebbe avere anche il potere della revoca del mandato ai propri rappresentanti attraverso una consultazione popolare con un’alta percentuale di partecipanti e una maggioranza ovviamente superiore a quella con la quale si è stati eletti. Gli errori fatti in più circostanze da giunte e consigli comunali dovrebbero farci riflettere e indurci ad immaginare e sperimentare forme di confronto civile, rispettoso delle idee altrui, ma capaci d’impedire decisioni verticistiche di quanti credono di avere il possesso della verità su questioni intorno alle quali occorre al contrario studio, ricerca, dibattito ed ovviamente scelte il più possibile condivise.

Se ciò non avviene e una popolazione pensa sia un suo diritto quello di partecipare a provvedimenti e risoluzioni della propria amministrazione comunale, è chiaro che non ha altra strada che quella di porre in essere richieste in tal senso alla maggioranza e alla minoranza del consiglio comunale. Senza riscontri positivi in merito è evidente che rimane solo il percorso di una gestione autonoma dei cittadini relativa a problemi eventualmente controversi e una lotta pacifica, ma risoluta per ottenere il rispetto della volontà espressa dalla maggioranza popolazione. Questi sono mezzi utili a un’amministrazione comunale per avere un termometro reale del pensiero degli abitanti sulla soluzione di problemi cruciali per la collettività.

Quanti pensano di rifugiarsi in sterili e inutili battibecchi polemici e spesso irrispettosi in incontri casuali per strada o sui social network ricorrono a uno stile davvero a nostro avviso molto degradato ed oltretutto sterile. Come facevano già i greci con Clistene dal 508 a.C. , nonostante allora ci fossero palesi esclusioni dall’isonomia (uguaglianza nei diritti e doveri) e dall’isegoria ( uguaglianza nel diritto alla parola) di donne, meteci e schiavi, è nell’ekklesia (assemblea) che occorre anche oggi confrontarsi su temi controversi per far emergere nella pacatezza di una discussione razionale un pensiero comune e realmente utile all’intera popolazione.

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